Riceviamo e pubblichiamo:
Qui di seguito parte della segnalazione presentata dall' "A.N.P.A.-GIOVANI LEGALI ITALIANI" (attuale U.G.A.I.) negli scorsi mesi alla Commissione Europea contro la formazione coattiva a spese degli avvocati cui ha collaborato anche l' Avv. Gennaro D'Andria ,resp. nazionale per i rapporti internazionali dell' U.G.A.I.
A breve ,oltre a depositare nuova documentazione che ci avete inviato da varie parti d'Italia, faremo partire una campagna pubblica , con il Vostro aiuto, di sensibilizzazione nei confronti della Commissione Europea perchè difenda la base degli avvocati dalla formazione obbligatoria e quindi blocchi il regolamento del CNF.----------------------------------------------------------------
DENUNCIA DELL' “A.N.P.A.- GIOVANI LEGALI ITALIANI” IN ORDINE AL REGOLAMENTO SULLA FORMAZIONE PERMANENTE CONTINUA LICENZIATO DAL CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE IN DATA 13 LUGLIO 2007
[.............................] rassegna alla pregiata attenzione della Commissione Europea Divisione “Concorrenza” la sottostante denuncia riguardante il Regolamento sulla formazione permanente licenziato dal Consiglio Nazionale Forense (C.N.F.) in data 13.07.2007 (
http://www.consiglionazionaleforense.it ... aggio=4603 ). Il detto regolamento, infatti, può essere qualificato come una decisione di un’associazione di imprese (il C.N.F., appunto) tesa ad eliminare il gioco della concorrenza:
- sul mercato dei servizi di formazione legale in Italia, ivi inclusi i servizi di formazione offerti in altri Paesi dell’Unione Europea ma rivolti anche agli avvocati italiani;
- sul mercato dei servizi legali, a danno delle categorie di avvocati, italiani e stranieri, operanti in Italia (in particolar modo, dei giovani) che vengono sottoposti ai gravosi oneri di aggiornamento professionale obbligatorio.
1) INFORMAZIONI SUL DENUNCIANTE
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L’ “A.N.P.A.-GIOVANI LEGALI ITALIANI” , pur conscia dell’istituzionalizzazione degli organi rappresentativi forensi come il C.N.F., ha sempre rifiutato negli ultimi anni di riconoscere questi enti, o le associazioni forensi, come utili interlocutori e/o sostanzialmente come portatori dei propri stessi interessi. [.............................]
- L’ “A.N.P.A.-GIOVANI LEGALI ITALIANI” ha infine deliberato di prendere - specie dopo l’emanazione della regolamentazione in materia - ancora di più - se possibile - le distanze dagli organi istituzionali e dalle associazioni forensi [.............................]
L’ “A.N.P.A.-GIOVANI LEGALI ITALIANI” rifugge statutariamente, pertanto, da ogni accordo teso a gravare [.............................] sulla base della classe forense, schierandosi a favore di essa, della Sua libertà ,autonomia nell’ottica dell’ accezione comunitaria e concorrenziale degli studi professionali come imprese.
[.............................]
2) GLI ORGANI ISTITUZIONALI FORENSI ITALIANI CHE AGISCONO IN VIOLAZIONE DELLE NORME SULLA CONCORRENZA
L’organo di rappresentanza istituzionale nazionale ed obbligatoria degli avvocati in Italia è il Consiglio Nazionale Forense (C.N.F.), con sede in Roma, presso il Ministero di Giustizia, via Arenula 71 (sito
http://www.consiglionazionaleforense.it). Il CNF per legge , secondo il regio decreto n. 1578 del 27 novembre 1933, non ha che 4 funzioni: quella giurisdizionale (che si realizza nel giudicare sui ricorsi proposti avverso le decisioni degli Ordini territoriali in materia disciplinare); quella di tenuta degli albi e di reclami elettorali; quella della tenuta dell’Albo degli Avvocati abilitati al patrocinio innanzi le magistrature superiori; ed infine quella, meramente consultiva, sui progetti di legge e di regolamento che riguardano, direttamente e indirettamente, la professione forense
http://www.consiglionazionaleforense.it ... aggio=2690 E’ lo stesso Consiglio Nazionale Forense ,pertanto, in quest’ ultimo link del suo stesso sito ufficiale, richiamando il regio decreto del 1933, a riconoscere di avere unicamente questi quattro compiti che gli affida espressamente la legge. Nessun altro compito.
Al controllo ed alle disposizioni del C.N.F. sono soggetti anche gli avvocati , non di cittadinanza italiana, che esercitino la professione forense sul territorio italiano.
3) IL REGOLAMENTO SULLA FORMAZIONE CONTINUA OBBLIGATORIA EMANATO DAL CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
Gli avvocati, individualmente e collettivamente rappresentati dai consigli dell’ordine o dal Consiglio Nazionale Forense, costituiscono, rispettivamente, delle imprese e delle associazioni d’imprese ai sensi dell’articolo 2 e 3 della Legge 287/90 e degli articoli 81 e 82 CE (vedasi Wouters, causa C- 309/99, punti 48-49).
Il Consiglio Nazionale Forense ha deliberato in data 18.01.2007 un primo regolamento in tema di formazione professionale continua; successivamente in data 13.07.2007 ha riformulato il contenuto del regolamento nell’ultima stesura vigente qui consultabile
http://www.consiglionazionaleforense.it ... aggio=4603Tale regolamento obbliga tutti gli avvocati iscritti all’albo italiano degli avvocati e quelli stranieri - esercenti la professione forense in Italia - ad osservare un sistema formativo a crediti - gestito in forma monopolistica e fautore di dinamiche anticoncorrenziali e discriminatorie - pena nel futuro financo l’impossibilità ad esercitare la professione forense.
4) ESERCIZIO DELL’ACCREDITAMENTO DELLA FORMAZIONE OBBLIGATORIA IN FORMA MONOPOLISTICA DAL C.N.F.
Il regolamento del Consiglio Nazionale Forense, qui richiamato, introduce di fatto una nuova condizione per esercitare la professione legale in Italia. Tale condizione è quella dettata dall’obbligo di raggiungere 90 crediti formativi in un triennio: chi non arriva a tale quota, avvocato italiano o non italiano, rischia di non poter più continuare ad esercitare ,anche se trattasi di avvocato aggiornatosi seguendo validissimi corsi che hanno la sola colpa di non essere accreditati dalle istituzioni forensi.
L’art 3 del regolamento prevede infatti che i crediti funzionali all'assolvimento della formazione professionale continua debbano siano predisposti “a condizione che essi siano promossi od organizzati dal Consiglio nazionale forense o dai singoli Consigli dell’ordine territoriali, o, se organizzati da associazioni forensi, altri enti, istituzioni od organismi pubblici o privati, sempre che siano stati preventivamente accreditati, anche sulla base di programmi a durata semestrale o annuale, dal Consiglio nazionale forense o dai singoli Consigli dell’ordine territoriali, a seconda della rispettiva competenza, indicati, promossi e organizzati, o accreditati”.
Sono quindi anche libere associazioni forensi ad organizzare corsi , anche a pagamento e quindi eventualmente a scopo di lucro, a carico della base dell’intera classe forense che ha l’obbligo di formarsi. Alcune di queste associazioni potrebbero approfittare dei corsi accreditati monopolisticamente dalle Istituzioni forensi (C.N.F. ed Ordini locali) persino per applicare dei prezzi diversificati a chi è iscritto a tali associazioni o meno (vedi [.............................])
Gli eventi formativi accreditati in senso monopolistico potrebbero diventare quindi un mezzo per reclutare soci approfittando delle discrasie economiche di iscrizione tra chi si iscrive alle libere associazioni forensi e chi non vi si iscriva. Ricordiamo che almeno l’iscrizione alle libere associazioni forensi in Italia dovrebbe essere libero in quanto trattasi di libere associazioni che non sono controllate giuridicamente.
Non dovrebbero essere certo le Istituzioni forensi nazionali e locali ad “accreditare” in modo monopolistico enti, associazioni o società formative, ma semmai il Ministero di Grazia e Giustizia o quello dell’Università e della Ricerca, ossia componenti istituzionali che non entrino nel gioco della concorrenza; che siano terzi.
5) L’ORDINE FORENSE ORGANIZZA CORSI FORMATIVI ED HA IL MONOPOLIO NELLA DECISIONE DI ACCREDITARE O MENO ALTRI CORSI FORMATIVI IN CONCORRENZA CON I PROPRI
C’è, infine, un problema di “concorrenza” non disciplinata tra organismi forensi e gli enti che via via si vanno ad accreditare. Va detto infatti che le Istituzioni forensi possono decidere , in assoluto monopolio e discrezionalità, di accreditare o non accreditare i possibili eventi formativi di altri possibili soggetti (pubblici o privati) addetti alla formazione: la decisione sull’ accreditamento in senso monopolistico di eventi formativi di altri enti e soggetti formativi è quindi nelle mani degli stessi enti istituzionali forensi che organizzano eventi formativi. E’ infatti evidente come sia ormai ,per fortuna, una realtà consolidata la mobilità degli avvocati e dei servizi legali, ma anche la possibilità che organismi stranieri vogliano organizzare eventi formativi in Italia. Quindi la decisione di accreditare o non accreditare eventi formativi altrui è demandata a diretti concorrenti nel mercato professionale. E’ come se fosse la FIAT a decidere se le automobili MERCEDES possono avere accesso o no al mercato di vendita automobilistico!
Ed è appena il caso di notare che il diritto comunitario imporrebbe, laddove un organismo di categoria si riservi il diritto di “accreditare” i prestatori di servizi ai propri iscritti, che i criteri di selezione siano obiettivi, trasparenti e che siano applicati in una maniera non discriminatoria. Tuttavia il regolamento del C.N.F. in materia di formazione obbligatoria nulla di chiaro sembra dire sul punto, lasciando nella più grande incertezza circa la possibilità di essere accreditati i numerosi e qualificati soggetti, nazionali ed esteri, interessati ad offrire servizi di formazione agli avvocati italiani.
6) IL CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE INTRODUCE UN SISTEMA DI CORSI FORMATIVI “AUTOACCREDITATI” IN SENSO MONOPOLISTICO PER RIDURRE IN MODO DISCRIMINATORIO IL NUMERO DI OPERATORI NEL MERCATO DEI SERVIZI ITALIANO E COMUNITARIO
In un sistema concorrenziale la formazione e l'aggiornamento dovrebbero essere lasciati a scelte di libero mercato e non ad un regime di monopolio di accreditamento gestito da chi abusa della propria posizione possibilmente per ridurre possibilmente il numero di avvocati esercenti la professione in Italia.
Con il nuovo regolamento la classe dirigente dell'Avvocatura decide ,gestisce ed accredita in senso monopolistico la formazione dei propri concorrenti sul Mercato italiano ed europeo.
Con il nuovo regolamento gli enti istituzionali forensi si garantiscono la possibilità di decidere ,in assoluto monopolio, attraverso l’accreditamento assolutamente discrezionale, dove andarti a formare e soprattutto a quale prezzo.
A titolo esemplificativo si vedano i costi esorbitanti dei corsi organizzati dagli Ordini di nell’articolo del quotidiano “Repubblica” (edizione Milano) del 05.01.2008 recante titolo "Tornano a scuola 18mila avvocati. Devono Incamerare 90 crediti ogni triennio, ma non ci sono corsi per tutti. E la loro formazione è già diventata un business” (ALLEGATO 1). Considerando che in Italia vi sono 180.000 avvocati esercenti la professione, e quindi l’enorme business economico derivante, è facile immaginare quale enorme danno alla concorrenza si produrrà da questo sistema di formazione obbligatoria e gestito in forma monopolistica.
E’ indubbio infatti che chi dovrà seguire coattivamente questi corsi avrà ulteriori incombenze che finiscono per sottrarre tempo, ma soprattutto risorse economiche, specie nei primi anni di attività professionale, rispetto a chi , come vedremo, è ingiustificatamente esentato e/o facilitato dal regolamento.
In tal modo si eliminano in breve tempo concorrenti nel mercato, specie i più Giovani ed i meno “protetti” ,come gli avvocati stranieri in Italia o gli avvocati italiani che esercitano all’estero, essendo troppo oneroso l’esercizio della professione e non avendo ,specie i giovani, all’interno degli studi professionali un numero di avvocati tale da permettersi di farsi sostituire nelle attività professionali di studio quando devono seguire coattivamente le lezioni formative.
Si consideri che il numero di avvocati stranieri esercitanti la professione in Italia (ancora limitato a qualche esiguo centinaio) probabilmente diminuirà nel corso degli anni anche a causa di tale dinamiche anticoncorrenziali.
L’art. 6 del Regolamento prevede che “Costituiscono illecito disciplinare il mancato adempimento dell’obbligo formativo e la mancata o infedele certificazione del percorso formativo seguito. La sanzione è commisurata alla gravità della violazione”.
E’ evidente come non siano neppure in alcun modo escluse le più radicali tra le sanzioni (non potere più esercitare la professione sul territorio italiano) nei confronti dei propri concorrenti sul mercato professionale italiano ed europeo. E’ facile così che un professionista sia via via cancellato dall’ Ordine degli Avvocati solo perchè non ha avuto i crediti necessari imposti in senso monopolistico dai propri concorrenti nel Mercato, pur essendo capacissimo di esercitare la professione di avvocato (ovvero dopo una formazione adeguata, ancorchè non in linea con quella monopolisticamente accredidata dal C.N.F.).
Il Consiglio Nazionale Forense introduce un ulteriore requisito ,a danno degli avvocati italiani e non italiani, per svolgere la professione di avvocato, ovvero seguire solo i corsi accreditati in senso monopolistico dalle stesse istituzioni forensi.
7) ORIENTAMENTO DEGLI ORGANISMI ISTITUZIONALI FORENSI E NATURA DELLA VIOLAZIONE DEL DIRITTO COMUNITARIO DELLA CONCORRENZA
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Nella Relazione Annuale per l’inaugurazione dell’anno forense 2007 (su
http://www.consiglionazionaleforense.it ... aggio=4378 ) - svolta dal Presidente del Consiglio Nazionale Forense Prof. Avv. Guido Alpa sotto l’intestazione “La seconda fase del XXVIII Congresso forense” si legge che“[..............] Alla sessione di Milano (del Congresso Nazionale Forense n.d.r.) [..............] Il dibattito si è soprattutto svolto intorno ai profili politici , per cercare di capire come raggiungere il risultato di ridurre l’enorme schiera di avvocati iscritti agli albi e di aspiranti , per far sì che la “legione” non divenisse un ostacolo al suo stesso sviluppo e al suo stesso benessere.Si è dunque parlato dei filtri all'ingresso, dell'aggiornamento professionale, della qualificazione professionale. [..............].
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Se il numero di avvocati diminuisce a causa di un regolamento anticoncorrenziale, il mercato dei servizi legali in Italia rischia di atrofizzarsi, non essendovi (o essendo limitate le possibilità che) diversi operatori offrano condizioni qualità/prezzo migliori e varieghino ed innovino i servizi forniti, a danno degli utenti dei servizi legali e della società tutta. Gli effetti anticoncorrenziali negativi di una tale situazione si riflettono non solo in Italia, ma nell’intera Unione Europea, rallentando la formazione di un mercato europeo dei servizi professionali legali, impedendo lo sviluppo di nuovi servizi al passo coi tempi, privando di scelta i consumatori finali.
Anche un avvocato spagnolo o austriaco , che voglia continuare ad esercitare in Italia, rischieranno di subire i danni conseguenti a questo regolamento anticoncorrenziale licenziato dall’organo istituzionale forense italiano. Un avvocato italiano esercente la professione all’estero avrà un’ulteriore incombenza maggiore, persino rispetto ai propri Colleghi italiani ed europei esercenti in Italia, perchè presumibilmente tornerà in Italia per seguire i corsi organizzati in Italia alla ricerca di un prezzo non troppo oneroso.
8) UN REGOLAMENTO CHE CREA ESENZIONI ARBITRARIE, NONCHÈ FACILITAZIONI DISCREZIONALI ED ANTICONCORRENZIALI
L’articolo 3 del regolamento prevede che diano crediti l’aggiornamento svolto in “commissioni di studio, gruppi di lavoro o commissioni consiliari, istituiti dal Consiglio nazionale forense e dai Consigli dell’ordine, o da organismi nazionali ed internazionali della categoria professionale” o “in altri altri eventi specificamente individuati dal Consiglio nazionale forense e dai Consigli dell’ordine”.
E' da notarsi come ad esempio alcune attività ("commissioni di studio, gruppi di lavoro o commissioni consiliari istituiti dal Consiglio nazionale forense e dai Consigli dell’ordine, o da organismi nazionali ed internazionali della categoria professionale") presumibilmente, per un fatto di numeri, possa partecipare solo una limitatissima parte degli avvocati italiani (che in Italia sono circa 180.000)
http://www.ccbe.org/fileadmin/user_uplo ... 905628.pdf ).
Un qualunque Consigliere del C.N.F. (che ha votato presumibilmente il regolamento) - ad esempio - partecipando anche ad un gruppo di lavoro (magari auto-istituito ad hoc dallo stesso C.N.F. di cui ovviamente lo stesso consigliere fa parte) potrebbe così contribuire ad adempiere in parte il proprio obbligo "formativo".
Tali eventi non avranno forse delle spese e quindi si presume che i Consiglieri del C.N.F. faranno formazione ,in questi casi, senza pagare le spese vive degli eventi formativi medesimi,come invece è richiesto di fare ,dal regolamento, ad un semplice avvocato , italiano e non italiano, per la propria formazione coattiva. Ciò determina una discrasia di mezzi economici tra chi è sostanzialmente esentato dalle spese e chi è coattivamente obbligato a sopportare delle spese.
I Consiglieri Nazionali Forensi deliberano un regolamento sulla formazione obbligatoria ,senza che la legge li autorizzi a ciò, predisponendosi la possibilità di espletare la propria formazione senza spese eventuali e senza perdite di tempo.
Si noti che poi il CNF o i Consigli dell'Ordine possano decidere incredibilmente a loro assoluta discrezionalità (lettera c) altri eventi ,caso per caso, per cui la formazione è pienamente integrata.
Il regolamento poi all’art. 4 garantisce poi incomprensibili agevolazioni “integrando assolvimento degli obblighi di formazione professionale continua” - non solo a coloro che avranno la fortuna o l’anzianità e l’esperienza di produrre vari tipi di pubblicazioni giuridiche - ma persino a chi avrà partecipato “alle commissioni per gli esami di Stato di avvocato, per tutta la durata dell’esame a chi ha fatto solo parte delle commissioni per l'esame di avvocato.
Anche qui tali eventi non avranno presumibilmente delle spese vive e gli stessi soggetti non avranno forse da pagare le spese vive di parte degli eventi formativi ;ad un semplice avvocato sarà richiesto invece di pagare le spese vive per tutti i propri eventi formativi. Anche qui gli avvocati non italiani non potranno partecipare ovviamente alle commissioni di esame d’avvocato e quindi saranno impossibilitati a fruire di queste nuove agevolazioni. Anche qui si crea, ripetiamo, una gravissima discriminazione e minore capacità di agibilità professionale per chi non è avvocato italiano, e per chi ha dovuto avere esborsi economici e chi invece non ha dovuto subire tali perdite di danaro e di tempo. L'ingiustizia diventa anticoncorrenzialità in quanto l'obbligo formativo ,siccome previsto, incombe maggiormente sui Giovani Avvocati (che avranno assai difficilmente i requisiti per pubblicare su riviste giuridiche, o l’anzianità per poter far parte delle commissioni d’esame d’avvocato).
Assai particolare e parimenti degno di rilievo negativo, appare l’art. 5 del Regolamento in ossequio al quale i docenti universitari - che già non hanno alcun obbligo di superamento dell'esame di abilitazione alla professione di avvocato (com’è noto conoscere in modo accademico ad esempio il diritto civile, non significa di per sé avere un'idonea preparazione per accedere alla professione in tutti i settori del diritto) - non avranno, a differenza degli altri avvocati, neppure l'obbligo di formazione continua "relativamente alle materie d'insegnamento".
L’”A.N.P.A.-Giovani Legali Italiani” rileva infine sull’assoluta discrezionalità - autoattribuitasi incredibilmente dal Consiglio Nazionale Forense - in tema di nuove e non meglio precisate altre “ipotesi” di esonero previste sempre all’art. 5.
Il Consiglio Nazionale Forense si attribuisce una facoltà incredibilmente discrezionale di esentare chiunque voglia e quando voglia.
Tutto ciò premesso è quindi assai verosimile che saranno gli avvocati non esentati e/o non “privilegiati” a subire – anche inconsapevolmente ma evidentemente - questa gravosissima incombenza, in termini di tempo e di disponibilità economiche e ciò li svantaggerebbe sotto il profilo della concorrenza professionale.
Un ipotetico cliente potrebbe facilmente ritenere più opportuno sottrarre il mandato ad un avvocato perchè in quel giorno quest’ ultimo è occupato (e quindi non può ascoltarlo in studio) e demandare il mandato ad un avvocato esentato o facilitato dalla formazione coattiva.
L’art 5 prevede anche che “il Consiglio dell’ordine può altresì dispensare dall’obbligo formativo, in tutto o in parte, l’iscritto che ne faccia domanda e che abbia superato i 40 anni di iscrizione all’albo, tenendo conto, con decisione motivata, del settore di attività, della quantità e qualità della sua attività professionale e di ogni altro elemento utile alla valutazione della domanda”. Il Consiglio dell'Ordine poi addirittura quindi esentare chi abbia superato 40 anni di iscrizione all'albo professionale. E’ incredibile e discriminatorio che si presuma un maggiore aggiornamento professionale derivante solo dall’anzianità professionale. E’ veramente aberrante che siano vessati proprio coloro i quali notoriamente dovrebbero avere una preparazione teorica più recente e quindi più aggiornata ,oltre che essere, a differenza dei loro Colleghi "navigati", più adusi agli strumenti informatici e all'uso delle lingue straniere. Le discriminazioni (basate sull’età e quindi non sulla capacità professionale) e la discrezionalità (specie contro i più giovani) aumentano secondo noi a livelli davvero inaccettabili.
[.............................]
La decisione del Consiglio Nazionale Forense appare assunta come accordo e/o pratiche concordate ai sensi dell’articolo 2 della Legge 287/90, in quanto decisioni economiche tese a proteggere la loro posizione di mercato e ad determinare lesioni della concorrenza a danno dei consumatori finali. Tale condotta restringe significativamente la concorrenza nel mercato dei servizi legali in Italia, in violazione dell’articolo 2 della Legge 298/90, ed indirettamente pregiudica la concorrenzialità dei servizi legali nell’intera Unione Europea e pone ostacoli alla formazione di un mercato unico dei servizi professionali intracomunitario, in violazione dei superiori principi e delle norme di diritto comunitario. Il mercato italiano dei servizi legali risulta stantio e territorialmente isolato. La permanenza nel mercato del maggior numero di operatori è intenzionalmente, e per fini di parte, reso difficile e si preclude lo sviluppo di servizi innovativi ed una maggiore concorrenzialità nel mercato italiano e comunitario dei servizi legali.
Gli articoli 81 e 82 CE, sebbene riguardino esclusivamente la condotta delle imprese e non le disposizioni legislative o regolamentari emanate dagli Stati membri, in combinato disposto con gli articoli 2, 3 e 10 CE, obbligano gli Stati membri a non adottare o mantenere in vigore provvedimenti idonei ad eliminare l’effetto utile delle regole di concorrenza applicabili alle imprese (vedasi Arduino, causa C-35/99, punto 34 e Consorzio Italiano Fiammiferi, causa C-198/01, punto 45 e giurisprudenza ivi richiamata).
L’attuale regolamento non è conforme al diritto interno della concorrenza ed al diritto comunitario e deve essere dichiarata illegittimo o almeno disapplicato, in quanto facilita la condotta anticoncorrenziale di alcuni operatori sul mercato dei servizi legali italiani rispetto ad altri (vedasi Commissione c. Italia, causa C-35/96, punti 53-55) ed ostacola la libera circolazione di persone e servizi e la libertà di stabilimento di avvocati provenienti da altri Stati membri in Italia. Un avvocato francese o polacco che voglia esercitare in Italia, dovra’ subire le discriminazioni in Italia rispetto ai propri controllori nel mercato dei servizi legali in quanto la formazione viene utilizzata in modo non legittimo, monopolistico e con fini anticoncorrenziali. In questo modo, il mercato italiano delle professioni legali resta isolato e si ricrea quella compartimentazione territoriale - non giustificata da superiori ragioni d’interesse pubblico - contro cui le istituzioni comunitarie e gli Stati membri lottano dal lontano 1957, ex articolo 3(g) CE, e che le direttive sul riconoscimento dei titoli e sugli avvocati senza frontiere mirano ad eliminare o, almeno, ad attenuare.Gli obiettivi perseguiti dall’articolo 3(1)(g), 10, 43, 49 e 81 del Trattato CE e dall’articolo 2 della Legge 287/90 sarebbero vanificati se si continuasse a consentire al C.N.F. di distorcere in modo così evidente il mercato.
Il Consiglio Nazionale Forense obbliga chi esercita la professione in Italia a seguire SOLO i corsi accreditati dallo stesso Consiglio Nazionale Forense o dagli Ordini locali. Invero senza questo accreditamento nessun corso ha validità formativa. Tali due regolamenti del C.N.F. che si sono succeduti in tema, specie in quello ultimo licenziato il 13.07.2007, invero danno alle medesime istituzioni forensi nazionali e locali la gestione in senso monopolistico dell’accreditamento degli eventi formativi. Il Consiglio Nazionale Forense, associazione obbligatoria di studi legali e quindi di imprese obblighi coattivamente chi esercita la professione forense in Italia a seguire i corsi formativi accreditati SOLO dal C.N.F. o dagli ordini locali; per di più non rendendo noti, come pure imporrebbero i principi di diritto comunitario, i criteri sulla base dei quali vengono effettuati gli accreditamenti.
Il regolamento approvato potrebbe portare al paradosso di un Avvocato, italiano o non italiano, sottoposto a procedimento disciplinare (e poi obbligato a non esercitare più la professione sul territorio nazionale) dai propri Colleghi concorrenti nel mercato dei servizi legali in Italia ed in Europa per mancata formazione, ancorché lo stesso abbia potuto frequentare Master, corsi di grossa rilevanza, financo di livello mondiale, ancorché non accreditati dalle Istituzioni forensi locali e nazionali, rispetto a chi si trova ad aver adempiuto il medesimo obbligo solo a mezzo della frequentazione di eventi formativi il cui “pregio” è solo quello di essere accreditati dagli organismi istituzionali forensi.
E’ quindi richiesto non l’aggiornamento formativo ma solo l’aver seguito i corsi obbligatori accreditati monopolisticamente dalle istituzioni forensi.
Il Consiglio Nazionale Forense pertanto utilizza le sue funzioni per erigere nuove barriere al fine di diminuire la persistenza di un concorrenziale numero di avvocati , italiani e/o non italiani, nel mercato delle professioni legali, così distorcendo e restringendo il gioco della concorrenza non solo in Italia ma, indirettamente, nell’intera Unione Europea, in cui peraltro dovrebbe essere assicurata l’effettiva concorrenza, la libertà di circolazione di servizi e persone, la libertà di stabilimento, il riconoscimento dei titoli (Direttiva 89/48/CEE) e la libera prestazione di servizi legali all’interno del mercato interno (Direttiva 98/5/CE).
9) POSIZIONI NEL MERCATO E REQUISITI RICHIESTI PER POTER ESERCITARE LA PROFESSIONE FORENSE SUL TERRITORIO ITALIANO
Gli avvocati offrono servizi legali giudiziali e stragiudiziali in Italia e possono legittimamente esercitare la professione solo se questi hanno i requisiti richiesti dalle legge italiana e/o dalle normative comunitarie.
Per inquadrare correttamente la questione che ci occuperà successivamente è necessario premettere proprio i requisiti che la legge italiana richiede per esercitare la professione in Italia. L’iscrizione agli albi è regolata dal Regio Decreto n. 37 del 22 gennaio 1934 (“r.d. n. 37/1934”)
http://www.italgiure.giustizia.it/nir/1 ... 17731.html , l’ordinamento della professione d’avvocato è regolato dal regio decreto regio succitato n. 1578 del 27 novembre 1933 (“r.d. n. 1578/1933”).
Al fine di esercitare la professione forense, è sufficiente che il laureato in giurisprudenza italiano ,a fine pratica, in ossequio all’art.33 della Costituzione italiana , superi con successo l’esame d’ammissione all’esercizio della professione, che si iscriva all’Albo degli Avvocati e che continui a rimanere iscritto per tutta la durata della professione.
Questi sono gli unici requisiti stabiliti dalla legge italiana per esercitare la professione forense in Italia.
Per gli avvocati non italiani è necessario esclusivamente adeguarsi alle direttive europee in tema di libertà di stabilimento, di riconoscimento dei titoli (Direttiva 89/48/CEE) e di libera prestazione di servizi legali all’interno del mercato interno (Direttiva 98/5/CE).
Questi sono gli unici requisiti stabiliti dall’ Unione Europea affinchè un avvocato ,non italiano, possa esercitare la professione sul territorio italiano.
10) IL MERCATO DEI SERVIZI LEGALI IN ITALIA E NELL’UNIONE EUROPEA
I servizi legali, giudiziali e stragiudiziali, sono offerti in Italia da avvocati iscritti all’albo degli avvocati e da avvocati d’altri Stati membri che esercitano in Italia grazie alle Direttive comunitarie. Gli avvocati italiani giocano ancora un ruolo molto importante sul territorio italiano e sono la maggioranza, perché sono stabiliti sul territorio, hanno piena padronanza della lingua italiana, conoscono ed applicano il diritto italiano. Gli avvocati europei ed extracomunitari forniscono in Italia gli stessi servizi degli avvocati italiani ma soprattutto validi servizi di consulenza in materia di diritto europeo, diritto internazionale, diritto nazionale dei loro Stati d’origine. Il mercato geografico dei servizi legali in Italia, pertanto, non può esser considerato meramente italiano. Grazie alla Direttiva sugli avvocati senza frontiere, alla crescita esponenziale dell’acquis comunitarie, agli scambi commerciali intracomunitari e internazionali, alla globalizzazione dei mercati, ai nuovi mezzi di comunicazione che consentono di seguire i clienti a distanza, il mercato dei servizi legali tende ad assumere una dimensione comunitaria. L’importanza dei servizi professionali, anche legali, è stata riconosciuta dalla Commissione Europea, secondo cui “i servizi professionali hanno un ruolo importante da svolgere ai fini del miglioramento della competitività dell’economia europea in quanto rappresentano per l’economia e le imprese e la loro qualità e competitività hanno importanti ricadute. I servizi professionali sono importanti anche per via della loro rilevanza immediata per i consumatori” (vedasi
http://www.agcm.it/AGCM_ITA/DSAP/SEGNAL ... enDocument).
E ancora, l’ex commissario alla concorrenza Mario Monti affermava nel 2003 a Berlino, di fronte al Bundesanwaltskammer, che “the Commission’s established policy is to fully apply competition rules to these services, whilst recognizing their specificities and the role they may play in the protection of public interest. The overall goal must be to improve welfare for all users of professional services: better choice and better value for money. Of course, national regulators should act in defence of the public interest in their territory. However, they should refrain from establishing undue and disproportionate restrictions of competition…any rule that is restrictive of competition and is not reasonably necessary to guarantee the proper practice of the profession could be analyzed by the Commission or the Courts” (vedasi discorso del 21 marzo 2003, disponibile su
http://europa.eu.int/comm/competition/l ... 003_en.pdf).
11) DISPONIBILITA’ AD EVENTUALMENTE INTEGRARE LE NOSTRE INFORMAZIONI
L’”A.N.P.A.-GIOVANI LEGALI ITALIANI” fa prontezza di integrare la documentazione o le informazioni a richiesta all’Ecc.ma Autorità adita e ringrazia l’Ecc.ma Commissione Europea per la cortese attenzione prestataci.
12) RICHIESTA DI INTERVENTO DELLA COMMISSIONE EUROPEA
L’”A.N.P.A.-GIOVANI LEGALI ITALIANI” chiede alla Ecc.ma Commissione Europea di indagare sulle condizioni del mercato dei servizi legali in Italia ed in Europa determinate e determinabili dal regolamento in parola e d’intervenire - come riterrà più opportuno- per evitare che si continuino a perpetrare pratiche anticoncorrenziali, a danno dei concorrenti nel mercato , italiani e non italiani, dei consumatori e dei potenziali nuovi concorrenti sul mercato, italiani e non italiani.
Tutto ciò considerato, rilevato e premesso l' “A.N.P.A.- Giovani Legali Italiani”,come in epigrafe domiciliata, chiede pertanto a Codesta Ecc.ma Commissione Europea di [.............................]
13) DENUNCIA-SEGNALAZIONE INVIATA ALL’ANTITRUST ITALIANO E SUCCESSIVA MESSA IN MORA
L'”A.N.P.A.- Giovani Legali italiani” ha già provveduto ad inviare ritualmente una denuncia-segnalazione in data 02.04.2007 all’ A.G.C.M. (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato) in relazione al regolamento sulla formazione permanente continua del C.N.F di cui al 18.01.2007, regolamento poi riformulato in pejus in data 13.07.2007. L’ A.G.C.M. (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato) ha ritenuto poi di notiziarci via lettera a/r sull’intenzione di non intervenire sulla questione in senso cautelativo, come invece era stato da noi richiesto nella denuncia segnalazione.
Successivamente siamo stati ascoltati in audizione presso l’A.G.C.M.,nell’ambito di un’indagine conoscitiva dell’A.G.C.M. sugli Ordini Professionali, sul merito della denuncia – segnalazione in parola. Non ricevendo a distanza di ben 9 mesi dall’invio della denuncia-segnalazione - ed a pochi giorni dall’entrata in vigore del regolamento anticoncorrenziale in parola - alcun tipo di decisione sulla nostra denuncia e sull’indagine conoscitiva ,ancora non evasa, abbiamo ritualmente messo in mora , via racc.ta a/r inviata il 03.12.2007, lo stesso organismo dando 15 gg. per emettere una qualunque decisione, ma che fosse definitiva (ALLEGATO 2).
Essendo nel frattempo entrato in vigore il regolamento anticoncorrenziale, con i danni già in atto e conseguenti alla sua applicazione per centinaia di migliaia di avvocati italiani e per quelli stranieri che esercitano in Italia (vedere nello specifico i punti successivi della segnalazione da 7 ad 11) , ed avendo verificato che l’A.G.C.M. continua a rinviare sui media la data relativa alla decisione definitiva, pur avvertita da noi circa le gravissime dinamiche concorrenziali che si sarebbero introdotte, indirizziamo formalmente la nostra denuncia alla Spett.le Autorità adita sicuri di un intervento teso a rimuovere la gravissima situazione di stasi venutasi a creare.
Ciò anche al fine di evitare che la non emanazione , o peggio l’ancora più ritardata emanazione , sine die, di una decisione definitiva da parte di un’Autorità Antitrust nazionale possa impedire di fatto l’intervento degli Organi comunitari che hanno l’obbligo di prendere autonomamente in considerazione una questione che non incide solo sul territorio nazionale ma anche sull’offerta, da parte delle società con sede in altri Paersi dell’UE, di servizi di formazione legale rivolti anche ad avvocati italiani
Facciamo prontezza di inviarVi per intero anche la denuncia inviata all’A.G.C.M., qualora fosse richiesta.
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