Il difensore d'ufficio resta a secco
Inviato: sab ott 04, 2008 11:04 am
Il difensore d'ufficio resta a secco
2/10/2008 da Italia Oggi
Avvocati in allarme sull'arretrato (milioni di euro). La Corte d'appello di Roma: spese boom
Fra uno e tre anni per l'accredito dei compensi dai tribunali
Fra uno e tre anni. È quanto i difensori d'ufficio devono attendere per vedersi accreditare dai tribunali i compensi relativi alle prestazioni effettuate. Un arretrato enorme, che fa degli avvocati penalisti e civilisti dei creditori dello stato per milioni di euro. Si tratta infatti di compensi che, in particolare per i penalisti, possono raggiungere anche i 100 mila euro per procedimento, se il numero delle udienze è elevato e la durata dell'istruttoria raggiunge l'anno. Ma i problemi, per i difensori d'ufficio i cui clienti hanno diritto al gratuito patrocinio, non finiscono qui. Al Consiglio nazionale forense e alle associazioni di rappresentanza, come l'Unione delle camere penali e quella delle camere civili, sono arrivate infatti segnalazioni anche sulla liquidazione dei compensi, alla quale provvede ogni tribunale provinciale. Con significativi ribassi rispetto ai minimi tariffari, aboliti dal decreto Bersani nel luglio del 2006. E se da un lato non ci sono stime che quantifichino gli arretrati e rappresentino il fenomeno, che ancora non è stato affrontato dall'avvocatura, nelle prossime settimane sono previste iniziative da parte della categoria per porre la questione all'attenzione dell'opinione pubblica. In pratica, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, dal punto di vista tecnico il ritardo dei pagamenti dei compensi si è accentuato in modo particolare dopo l'entrata in vigore del decreto Bersani sulle liberalizzazioni, e in particolare di una disposizione che esclude l'anticipo della liquidazione da parte delle Poste. Ma, dal punto di vista sostanziale, il problema è l'enorme diffusione del ricorso all'istituto del gratuito patrocinio, che affida allo stato il pagamento delle spese legali dell'imputato. Ogni tre procedimenti penali, infatti, uno è a carico dello stato. Lo ha denunciato la Corte d'appello di Roma, nella sua relazione all'inaugurazione dell'anno giudiziario 2008, che fa una panoramica, numeri alla mano, sull'applicazione delle norme del patrocinio a spese dello stato. Evidenziando, «oltre all'enorme aggravio di lavoro per le cancellerie, il notevole impegno economico per l'erario legato a tale voce in continua, costante crescita». «Le richieste accolte nella sola Corte d'appello di Roma», si legge nella relazione, «sono state 688 nel secondo semestre 2006, con una spesa di 659.580 euro per il settore penale e di 20.852 euro in quello civile. Nel primo semestre 2007, rispetto ai 1.025 del corrispondente periodo precedente, sono stati emessi 1.047 mandati, per una spesa di 1,021 milioni di euro nel settore penale e di 72.197 euro in quello civile». «Ancora più sconcertanti», prosegue la Corte d'appello romana, «sono le cifre comunicate dal tribunale di Roma: per il solo primo semestre del 2007 la spesa totale lorda ammonta a 2,8 milioni di euro (di cui 2,7 milioni per il penale e 78.301 per il civile) con un vertiginoso aumento rispetto al secondo semestre del 2006 (in totale tra civile e penale 638.567 euro, anche se su tale dato ha inciso la battuta d'arresto verificatasi in detto periodo per effetto della modifica del sistema di riscossione introdotto dalla riforma Bersani)». «Gli uffici segnalano», conclude la relazione, «che almeno nel 10% dei casi i soggetti ammessi sono recidivi e che ormai su tre procedimenti penali almeno uno è posto a carico dello stato. Sarebbe il caso di prevedere, oltre che più numerose ipotesi di esclusione connesse alla tipologia criminosa e sistematiche verifiche fiscali, anche casi di esclusione soggettiva dal beneficio della ammissione al patrocinio a spese dello stato nei casi in cui il reiterarsi della commissione di reati induce a considerare che la persona viva abitualmente dei proventi di attività illecite. Ritengo che, attese le dimensioni abnormi di tale voce di spesa, sia ormai indifferibile un intervento legislativo teso sia a rendere più penetranti i controlli sull'esistenza dei requisiti per l'ammissione al beneficio, sia a limitare il riconoscimento in ipotesi di reiterazione dei reati». Gabriele Ventura
2/10/2008 da Italia Oggi
Avvocati in allarme sull'arretrato (milioni di euro). La Corte d'appello di Roma: spese boom
Fra uno e tre anni per l'accredito dei compensi dai tribunali
Fra uno e tre anni. È quanto i difensori d'ufficio devono attendere per vedersi accreditare dai tribunali i compensi relativi alle prestazioni effettuate. Un arretrato enorme, che fa degli avvocati penalisti e civilisti dei creditori dello stato per milioni di euro. Si tratta infatti di compensi che, in particolare per i penalisti, possono raggiungere anche i 100 mila euro per procedimento, se il numero delle udienze è elevato e la durata dell'istruttoria raggiunge l'anno. Ma i problemi, per i difensori d'ufficio i cui clienti hanno diritto al gratuito patrocinio, non finiscono qui. Al Consiglio nazionale forense e alle associazioni di rappresentanza, come l'Unione delle camere penali e quella delle camere civili, sono arrivate infatti segnalazioni anche sulla liquidazione dei compensi, alla quale provvede ogni tribunale provinciale. Con significativi ribassi rispetto ai minimi tariffari, aboliti dal decreto Bersani nel luglio del 2006. E se da un lato non ci sono stime che quantifichino gli arretrati e rappresentino il fenomeno, che ancora non è stato affrontato dall'avvocatura, nelle prossime settimane sono previste iniziative da parte della categoria per porre la questione all'attenzione dell'opinione pubblica. In pratica, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, dal punto di vista tecnico il ritardo dei pagamenti dei compensi si è accentuato in modo particolare dopo l'entrata in vigore del decreto Bersani sulle liberalizzazioni, e in particolare di una disposizione che esclude l'anticipo della liquidazione da parte delle Poste. Ma, dal punto di vista sostanziale, il problema è l'enorme diffusione del ricorso all'istituto del gratuito patrocinio, che affida allo stato il pagamento delle spese legali dell'imputato. Ogni tre procedimenti penali, infatti, uno è a carico dello stato. Lo ha denunciato la Corte d'appello di Roma, nella sua relazione all'inaugurazione dell'anno giudiziario 2008, che fa una panoramica, numeri alla mano, sull'applicazione delle norme del patrocinio a spese dello stato. Evidenziando, «oltre all'enorme aggravio di lavoro per le cancellerie, il notevole impegno economico per l'erario legato a tale voce in continua, costante crescita». «Le richieste accolte nella sola Corte d'appello di Roma», si legge nella relazione, «sono state 688 nel secondo semestre 2006, con una spesa di 659.580 euro per il settore penale e di 20.852 euro in quello civile. Nel primo semestre 2007, rispetto ai 1.025 del corrispondente periodo precedente, sono stati emessi 1.047 mandati, per una spesa di 1,021 milioni di euro nel settore penale e di 72.197 euro in quello civile». «Ancora più sconcertanti», prosegue la Corte d'appello romana, «sono le cifre comunicate dal tribunale di Roma: per il solo primo semestre del 2007 la spesa totale lorda ammonta a 2,8 milioni di euro (di cui 2,7 milioni per il penale e 78.301 per il civile) con un vertiginoso aumento rispetto al secondo semestre del 2006 (in totale tra civile e penale 638.567 euro, anche se su tale dato ha inciso la battuta d'arresto verificatasi in detto periodo per effetto della modifica del sistema di riscossione introdotto dalla riforma Bersani)». «Gli uffici segnalano», conclude la relazione, «che almeno nel 10% dei casi i soggetti ammessi sono recidivi e che ormai su tre procedimenti penali almeno uno è posto a carico dello stato. Sarebbe il caso di prevedere, oltre che più numerose ipotesi di esclusione connesse alla tipologia criminosa e sistematiche verifiche fiscali, anche casi di esclusione soggettiva dal beneficio della ammissione al patrocinio a spese dello stato nei casi in cui il reiterarsi della commissione di reati induce a considerare che la persona viva abitualmente dei proventi di attività illecite. Ritengo che, attese le dimensioni abnormi di tale voce di spesa, sia ormai indifferibile un intervento legislativo teso sia a rendere più penetranti i controlli sull'esistenza dei requisiti per l'ammissione al beneficio, sia a limitare il riconoscimento in ipotesi di reiterazione dei reati». Gabriele Ventura