Messaggioda GiovaniAvvocati » dom ago 05, 2012 12:12 pm
Bullismo e mediazione scolastica
— Il bullismo è una forma di comportamento aggressivo che presenta caratteristiche peculiari e distintive, riconosciute a livello internazionale. La conoscenza dei suoi aspetti può permettere agli adulti, nel ruolo di educatori e genitori, di intervenire con strategie efficaci, in una dimensione sia preventiva che di contrasto. —
Strategie contro il bullismo nelle scuole.
Il conflict coaching e la mediazione scolastica.
di Maria C. D’Amico
Entro in classe, la ricreazione si è appena conclusa e la mia alunna, Manuela, mi viene incontro un po’ preoccupata.
«Prof. ho rotto il fanalino del motorino di Enzo, lui mi ha tradito, ieri in discoteca è andato con un’altra, e io … prof. ho rotto il fanalino, proprio davanti alla telecamera che ha montato il preside giù in atrio per evitare i continui furti dei motorini … prof. mi aiuti mi condanneranno per bullismo?»
Con questo "dilaniante interrogativo" della mia giovane alunna, che sperimentava le prime pene d'amore, reagendo in modo alquanto impetuoso, decido di spostare il focus della mia lezione di diritto, sicché nella classe e con la classe affrontiamo l'accaduto, e la controparte fedifraga.
Rassicuro la studentessa, dando una definizione chiara di atti di bullismo e la invito a non ripetere mai più un simile gesto.
La studentessa si offre di ripagare il fanalino rotto e chiede anche scusa, aggiungendo tuttavia di non voler mai più tornare con Enzo, neanche se restasse l'ultimo uomo sulla faccia della terra.
Enzo dal canto suo sa di avere sbagliato, ma inevitabilmente non riconosce l’errore e chiede un approfondimento sul tema bullismo, forse per evitare altri argomenti.
La classe, divisa tra innocentisti e colpevolisti, pro-Enzo e non, partecipa animatamente al dibattito tra diritto e morale, tra nozione di bullismo e scatti d'ira; la lezione di diritto è diventata lezione di vita, indagine, approfondimento.
Da questo episodio prende spunto un modulo che annualmente affronto nelle mie classi e che ho deciso di condividere con i lettori sul tema del bullismo e del conflict coaching nelle scuole.
I ragazzi amano il termine “coach”, che nell'ambito sportivo è l’allenatore, il preparatore, e personalmente ritengo fondamentale nella scuola la presenza di un conflict coach, in grado di gestire la conflittualità, anche tra genitori e insegnanti, gli episodi di bullismo ed altre problematiche con un progetto di crescita mirato e con traguardi specifici da raggiungere rispetto alle diverse componenti presenti nella scuola.
Il conflict coach non è uno psicologo in senso classico, ma deve avere un buon bagaglio di preparazione in tale ambito e deve trovarsi in una posizione di terziarietà rispetto ai docenti; ecco perché un docente non può essere un conflict coach, anche se può utilizzare tecniche di conflict coaching come l'ascolto attivo, la formulazione di domande chiarificatrici, per gestire alcune problematiche della classe.
Per intenderci, nell’episodio precedentemente citato, il docente poteva mantenere terziarietà rispetto all'evento; ma nel caso di conflittualità famiglia-docente un conflict coach appartenente alla categoria docente avrebbe difficoltà ad uscire dal proprio ruolo e/o ad essere percepito come imparziale dalla categoria genitoriale.
Inoltre il docente, essendo sempre in classe, non può monitorare determinati eventi che avvengono fuori da essa.
La conoscenza di tecniche di conflict coaching è invece fondamentale per quel docente che vuole aiutare la classe a gestire la conflittualità che può emergere nell’iter formativo.
Nel 2004 mi trovai a svolgere per un anno compiti affini al conflict coaching e rientranti nella figura del tutor.
La scuola italiana sosteneva la necessità della presenza di strutture di sostegno tra le quali la tutorship, ed anche nel passato si erano sperimentate esperienze di docente-tutor, come accadeva nel ‘92 con l'introduzione negli istituti professionali statali della figura del docente-tutor.
Il tutor come “struttura di sostegno” all’innovazione
L’idea di HUBERMAN riassume in modo concreto i quattro macro-ruoli che le Indicazioni Nazionali attribuiscono al docente con funzioni di tutor:
Catalizzatore facilitatore. Il tutor raccoglie malumori, dissapori, malintesi e li rende chiari, solleva un problema concreto; facilita la comunicazione, avvia alla soluzione del problema.
Collegamento esterno.
Consigliere tecnico. Per il reperimento di risorse nel territorio
Innovatore. Per cambiamento intenzionale.
Nell'esperienza personalmente vissuta come docente-tutor all’interno di un istituto commerciale paritario l'attività di “collegamento esterno” è stata intensa, grazie alla stesura di vari articoli sulle iniziative portate avanti dalla scuola, che hanno dato una maggiore visibilità dell’istituto all'esterno.
Molte sono state le innovazioni didattiche suggerite, proposte e ben accolte da alcuni docenti.
Incompleta è stata l'attività di “consigliere tecnico”, a causa del mancato perdurare dell’incarico.
Fallimentare è stata l'attività di “catalizzatore facilitatore”, poiché i colleghi non accettavano quella che vivevano come un'intrusione e cioè la raccolta di malumori e dissapori da affrontare con chiarezza e per la creazione di soluzioni.
Ritengo che oggi la mediazione scolastica vada orientata principalmente al superamento degli episodi di bullismo, e deterrente alla crescita della violenza senza tuttavia trascurare la altre aree precedentemente affrontate, ma sempre con grande garbo e professionalità, con un approccio molto soft, che non urti la suscettibilità di alcuno, specialmente dei colleghi docenti.
Del resto non posso negare che nei quindici anni di insegnamento ho incontrato molti insegnanti permalosi e difficili, ma tutti lodevolmente consci dell’importanza del loro ruolo nei confronti degli studenti.
La delega che, negli ultimi anni ha caratterizzato la famiglia italiana, poco consapevole del proprio ruolo e responsabilità, non ha caratterizzato a mio personale avviso la classe docente, che malpagata e a volte bistrattata, ha sempre e comunque svolto il proprio ruolo, o quantomeno ha sempre cercato di farlo.
È vero ci sono insegnanti molto rigorosi, a volte poco comprensivi; alcuni non sono grandi fruitori delle moderne tecnologie che possono rendere la lezione più interessante, ma la maggior parte vive l’insegnamento come un lavoro-missione, la cui mission è appunto la formazione del cittadino, con una forte dimensione etica.
È per questo che dobbiamo “tenere duro” e fare squadra: Scuola, Famiglia e Stato.
Non dovremmo permettere che i ragazzi tornino a casa dicendo quel che vogliono dell'insegnante, ma dovremmo arginare lo "strapotere" di alcuni docenti; non dovremmo cedere alla tecnologia ad ogni costo, ma avvantaggiarci dell’utilizzo di essa.
Tutto questo richiede maggiore attenzione verso il mondo della scuola ed anche verso l’attività di coaching e mediazione scolastica.
La nostra società necessita di figure professionali che sappiano porsi nel mezzo dei problemi, riconoscerli, capirli e –in ultima battuta– elaborarli e risolverli, dirimendo conflitti e sciogliendo i nodi delle incomprensioni.
Questo costituisce un passo di primaria importanza, a fronte della sempre maggiore intolleranza, problematicità e violenza che, paradossalmente, contraddistingue il nostro vivere quotidiano.
Sembra che la cosiddetta “società della comunicazione” si riveli spesso luogo di conflitti, scontri, diffidenze e dell’inconciliabilità, rivelando l’importanza di una sapiente attività di coaching in grado di contrastare il dilagare della violenza e del bullismo.
Il coaching è un’attività di potenziamento delle risorse umane e materiali della scuola volta all'eccellenza; è attività di risoluzione di quegli ostacoli che impediscono il ben-essere dello studente nella scuola; è contrasto alla conflittualità e al bullismo attraverso idonee tecniche di gestione della problematica.
Aree del coaching.
Un’area fondamentale del coaching, che ora esamineremo in dettaglio per la rilevanza all’interno del nostro progetto è il contrasto al bullismo.
Il contesto scolastico ha a che fare con la fascia di età dell’adolescenza, per sua natura sensibile, problematica e instabile, oggi più che mai connotata da fenomeni di violenza di vario tipo.
Parolacce, offese e "prese in giro", ma anche minacce, botte … in una sola parola bullismo. Quelli appena elencati sono gli atti di bullismo che i ragazzi denunciavano nell'ambito di una tra le prime ricerche condotta nel 2001 nella provincia di Trento e realizzata dall’associazione Villa Sant’Ignazio.
Dalla ricerca emergono episodi di violenza e sopraffazione in aula, ed anche nei corridoi; il 50% degli intervistati ha dichiarato di essere stato vittima di episodi di bullismo, talvolta ricorrenti.
Sorrido pensando ai racconti dei miei alunni di Recoaro, che, divertiti, mi riferivano gli scherzi subiti in occasione dei primi giorni di scuola e che avevano destato anche la preoccupazione degli autisti delle Ftv.
Ma questo è ben altro problema, perché un po’ di goliardia scolastica non ha mai ucciso nessuno; il bullismo al contrario è un fenomeno in preoccupante ascesa, motivo per il quale è necessario tracciare una linea di confine e riuscire a gestire il dilagare della prepotenza che è segnale di un forte disagio giovanile, che colpisce in particolar modo la fascia d'età dei quattordicenni.
Se è vero che questa stessa popolazione scolastica sarà chiamata, nel futuro, ad assumere un ruolo attivo, propositivo, all’interno della comunità di appartenenza è fondamentale educarla al rispetto, alla comprensione, all’ascolto e alla mediazione pacifica dei conflitti.
Nel momento in cui l’organizzazione scolastica intende farsi carico di questi problemi, inquietanti, ma imprescindibili, diviene assolutamente necessario prevedere spazi e risorse di ascolto, di dialogo, comunicazione e comprensione.
Risorse, tali da promuovere, nella scuola, una cultura della mediazione pacifica dei potenziali conflitti ed una cultura dell’aiuto reciproco.
Bullismo: definizioni del fenomeno.
"Uno studente è oggetto di azioni di bullismo quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o più compagni” (OLWEUS 1996).
“Il comportamento da bullo” si concreta in azioni fisiche o verbali che mirano deliberatamente a far del male o danneggiare; spesso è un comportamento persistente, che si protrae settimane, mesi e persino anni e dal quale è difficile difendersi per coloro che ne sono vittime.
Alla base della maggior parte dei comportamenti sopraffattori c’è un abuso di potere e un desiderio di intimidire e dominare” (SHARP E SMITH 1995).
L’azione del bullo nei confronti della vittima è intenzionale e non si concreta in un singolo episodio di angheria tra studenti, ma nell’instaurarsi di una relazione che, cronicizzandosi, crea dei ruoli definiti:
La vittima, colui che subisce le prepotenze.
Il bullo, colui che le perpetra.
Il bullismo non è un problema individuale, ma sociale che richiede la presa in carico da parte di scuole, famiglie, istituzioni.
Nel bullismo si manifesta sempre uno squilibrio in termini di forza, età, componente numerica ed un’asimmetria nella relazione (OLWEUS 1996).
Gli insegnanti più giovani di età e di servizio dimostrano di “accorgersi” di più degli altri dell’esistenza del fenomeno e sembrano essere più “attenti”. In questo senso l’area di docenza ha un certo peso.
I docenti hanno segnalato la prevalenza della prepotenza come risposta a provocazioni (52%) seguite dalla negazione del problema (22%) e dal rifiuto di spiegazioni (16%), che è maggiore verso le insegnanti donne e gli insegnanti giovani.
Ciò potrebbe, secondo gli osservatori, far pensare ad una maggior autorevolezza dell’insegnante maschile e di quello che ha maggior anzianità di servizio.
Le reazioni dei ragazzi raccolte dagli insegnanti in risposta al richiamo effettuato per l’atteggiamento prepotente riguardano prevalentemente il dare la colpa agli altri (56%), l’assumere un atteggiamento di sfida (47%), la negazione del problema (36%), la ricerca di scuse (33%).
Insomma delineano il quadro di un ragazzo poco disposto a riconoscere le proprie responsabilità (6%) che cerca anche l’appoggio del gruppo.
Secondo gli insegnanti una possibile strategia di risposta è costituita da ’’essere più severi” (33%) e nel “far riflettere i ragazzi” (77%); risposte che mettono in primo piano l’idea che con i ragazzi si deve dialogare e si deve comprenderli, ma nel medesimo tempo occorre essere fermi e contrattuali.
Sono gli insegnanti più giovani a prevalere sul fronte della fermezza mentre gli altri esprimono in maggioranza la necessità di dialogare.
Elementi di contrasto al bullismo.
L'educazione all'emotività è in realtà un aspetto importantissimo per fronteggiare tale problematica, come anche la diffusione di una cultura della pace, della mediazione.
Non a caso la presenza di contenuti violenti delle trasmissioni televisive ha ampiamente acuito il problema.
Modelli antibullo.
Parlare con i giovani riportando i casi lodevoli di iniziative contro il bullismo può scuotere le loro anime.
Ad esempio la popstar Lady Gaga, colpita profondamente dai recenti suicidi di adolescenti vittime di bullismo, ha deciso di fare la sua parte creando "Born This Way", un'organizzazione che si occuperà di counseling per adolescenti e di tematiche come la fiducia in se stessi, benessere, anti-bullismo, life coaching.
L'affascinante e ammirato Justin Bieber, idolo delle adolescenti di tutto il mondo, è stato vittima di bullismo. E l'effetto benefico della sua popolarissima immagine andrà a tutto vantaggio di questo importante tema sociale, dal momento che il cantante ha deciso di scendere in campo contro un fenomeno che sembra averlo toccato in prima persona e di aver, dunque, vissuto sulla sua pelle l’esperienza che affligge così tanti ragazzi in tutto il mondo. Per questo motivo ha concesso la sua canzone al documento “Bully”, che racconta la storia di cinque adolescenti angosciati da alcuni bulli.
I giocatori della Liomatic Viola [squadra di pallacanestro di Reggio Calabria N.d.R.], invece, da febbraio 2012 hanno portato avanti il progetto "quando i giganti non diventano bulli ", dove raccontano il loro impegno sportivo come valvola di sfogo all'aggressività adolescenziale e modello di comportamenti virtuosi.
L'azione pedagogica deve essere preventiva e coinvolgere docenti alunni e corpo non docente, affrontando le dinamiche relazionali giovanili attraverso l'intervento di un mediatore scolastico che crei un contesto facilitante, che attivi o riattivi la comunicazione fra le persone permettendo loro di gestire o trasformare positivamente la condizione di rottura nella quale si trovano, nella ricerca di un accordo soddisfacente.
Il mediatore scolastico deve pertanto:
Promuovere capacità socio-emozionali negli studenti.
Promuovere nella comunità il dialogo e la comunicazione come strategie per affrontare la conflittualità.
Promuovere il protagonismo e la partecipazione attiva.
Proporre uno stile educativo negoziale agli adulti di riferimento, e non il riferimento alla sanzione e all'esclusione come modalità unica di gestione del conflitto.
Sensibilizzare alla dimensione positiva del conflitto.
La scuola in tal modo diventa palestra di vita, dove l'esercizio della mediazione può estendersi ad altri ambiti, moderando anche la componente di ribellione che è insita nell'adolescente ed indirizzandola al raggiungimento di obiettivi concreti e vantaggiosi nella relazione familiare e con il docente.
I giovani, infatti, sono molto sensibili e hanno bisogno di attenzioni e di dialogo. Dosare autorevolezza e ascolto attivo è fondamentale per conquistare la loro fiducia, insieme ad un feedback continuo da formatori e dirigenti.
Il metodo dell'inclusione sociale prevede inoltre un importante impegno della comunità scolastica anche nell’aiutare il bullo a recuperare uno status di accettabilità tra i compagni.
Quando il bullo sarà infatti ready for change, cioè pronto al cambiamento, si attueranno delle forme di giustizia riparativa, che lo aiuteranno a rientrare nella classe.