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DOTTRINA E SCRITTI SULLA MEDIAZIONE

Inviato: dom ago 05, 2012 12:00 pm
da GiovaniAvvocati
Per ciascuno articolo che segue il riferimento bibliografico è:

squolapronobis (ISSN 2280-8779) Ad acta — ANNINOVANTÆditrice (ISBN 978-88-89062-26-5)

La “mediazione civica” e il Mediatore Civico.
di Maria C. D’Amico

La “mediazione civica” si occupa della prevenzione e gestione dei conflitti latenti e manifesti sul territorio, nei quartieri, condomini, parchi, scuole.
In tali contesti le ragioni del contendere riguardano spesso scorrettezze o incomprensioni nate da episodi di ordinaria quotidianità urbana, nei quali la parte visibile del conflitto può riguardare l'utilizzo degli spazi comuni, il rispetto di regole basilari, rumori, gestione di animali domestici, vandalismo etc.
La mediazione civica, pertanto, offre un intervento per le parti coinvolte in lite che mira a fornire ai ruoli interessati strumenti che consentano di ridare loro potestà ed autonomia nella gestione del conflitto.
L'intervento del Mediatore Civico infatti è finalizzato a riattivare canali di comunicazione precedentemente bloccati tra le parti, rendendo possibile la naturale risoluzione dei problemi o l'avvio ad una loro risoluzione attraverso un rispettoso dialogo tra le stesse.
Il Mediatore Civico, a tal fine -con imparzialità, super partes, e particolarmente astenendosi da ogni giudizio o valore che possa determinare pregiudizio- cerca di mettere in comunicazione le parti coinvolte nel conflitto, rendendole co-protagoniste di una decisione non preconfezionata, ma affidata alle mani delle stesse parti; frutto delle loro esigenze e reali necessità.
Il Mediatore è un facilitatore ed un analizzatore profondo della controversia, che assiste le parti a risolvere autonomamente le loro liti. Il Mediatore e le parti seguono uno specifico protocollo comportamentale che richiede a ciascuno di essere coinvolto in un lavoro congiunto finalizzato alla risoluzione della controversia ed alla ricerca di un pacifico e duraturo accordo.
A tal proposito nel 1994 e poi in seconda edizione nel 2005 negli Stati Uniti compare un libro di Robert A. Baruch Bush e Joseph P. Folger con il titolo "The Promise of Mediation. The Trasformative Approach to Conflict". "La Promessa della Mediazione" è stato nel settore della mediazione dei conflitti il testo che negli Stati Uniti ha messo in discussione una serie di assiomi dominanti nei decenni precedenti. La proposta innovativa contenuta nel lavoro di Bush e Folger parte proprio da un approccio di mediazione "trasformativa" in cui l'attenzione dei mediatori si rivolge all'interazione delle parti, il "qui e ora" del processo mediativo.
In questa prospettiva, la mediazione va costruita incoraggiando le parti all'empowerment, cioè alla capacità di prendere decisioni in maniera autonoma e informata e a favorire il riconoscimento reciproco, giungendo a vedere nella controparte un essere umano e non più un problema o un ostacolo ai propri obiettivi.
Importante obiettivo della mediazione è assistere le persone nel dedicare un maggior tempo ed una attenzione più rigorosa alla creazione di un volontario, funzionale e duraturo accordo.
Le parti stesse hanno il potere di controllare tale procedura, dal momento che esse possono determinare i parametri dell’accordo.
Tali decisioni vanno poi verbalizzate per dare solennità a quanto statuito, al fine di prevenire futuri contenziosi nel tempo e stimolare una volenterosa e rispettosa collaborazione delle parti al mantenimento dell'accordo o alla esecuzione di quanto previsto.

Aver consapevolezza della mission della “mediazione civica” e dell’opera del Mediatore Civico, in un qualsivoglia contesto di convivenza sociale, offre elementare esempio di sana cittadinanza e di costruttiva evoluzione della civiltà.

Re: DOTTRINA E SCRITTI SULLA MEDIAZIONE

Inviato: dom ago 05, 2012 12:04 pm
da GiovaniAvvocati
L’identità del mediatore civile
di Buscemi Giancarlo

Chi è il “Mediatore” delineato nel quadro normativo attuale secondo la legge ex 4 marzo 2010 n° 28?
Quali possono ritenersi le sue caratteristiche fondamentali?

Rispondere a queste domande significa avere individuato l’identità del mediatore civile e commerciale.
Per brevità, visto che molto è stato detto in merito, formulerò alcune riflessioni che vorrei condividere, giungendo ad alcune conclusioni a mio parere importanti.
Conoscere l’identità del mediatore in genere significa conoscere le sue funzioni e il suo ruolo, all’interno del procedimento di conciliazione, senza scadere in riduzioni facili o alterazioni amplificative di un ruolo, che ha come scopo unico la ricomposizione, la soluzione della lite e la conciliazione tra le parti, con la creazione di una soluzione terza, non preconfezionata, ma creata dalle parti stesse.

Struttura e contenuto.
Le caratteristiche basilari della figura di un mediatore riguardano le competenze e la gestione della complessità della realtà.

Un mediatore:

deve avere capacità

 Convocativa
 Ricognitiva
 Risolutiva - Agevolativa
 Analitica - Sintetica

deve possedere competenze interdisciplinari che coinvolgono molte aree, quali:

 Sociologia
 Psicologia
 Pedagogia
 Diritto

deve essere capace di trovare attraverso le fonti, le soluzioni migliori; sapendo cercare come “un nano“ sulle spalle di un gigante; comminando l’esperienza dell’umanità, la Storia, la profezia.

Il conciliatore è, e deve essere, indipendente
Il conciliatore è imparziale
Il conciliatore è neutrale

Il conciliatore soggetto centrale ed indipendente, aiuta le parti a trovare una soluzione amichevole, collaborativa, di componimento, piuttosto che di scontro, facilitando il dialogo, la conoscenza, l'emergere delle realtà e delle visioni delle parti confliggenti.

Tra le caratteristiche che ritengo fondamentali c’è quella della “capacità Convocativa”, a riguardo della quale è vero che ci sono mezzi idonei alla convocazione: lettere con ricevuta di ritorno, “deposito 15gg”, telefonate, fax, e-mail… ma tutto questo se viene percepito come risorsa legale di persecuzione -e non come convocazione per una risoluzione- verrà respinto con tutti i mezzi possibili dalla parte da “convocare” a Conciliazione.
Le reazioni di quest’ultima, sarebbero:

 non farsi trovare, neanche dall’avvocato
 non ritirare la corrispondenza
 calmierare i tempi dicendo di essere disponibile ad un accordo ma poi non parteciparvi
 dichiarare di non avere risorse per far fronte alle spese… (Fallimentare)
 richiedere che non gli siano imposti solo doveri e obblighi ma adeguamento alle effettive esigenze economiche e commerciali per entrambi le parti.

La convocazione è una modalità di comunicazione “attiva”, un discorso-azione, un atto di “parola” con l’enfasi sull’altro nell’esperienza intersoggettiva…
La convocazione non è risposta e non è domanda come scriveva Piero Trupia nel suo libro “Potere di convocazione. Manuale per una comunicazione efficace”.

La convocazione al contrario è legata al riconoscimento di un principio di autorevolezza, ma non fa riferimento a colui che tutto sa e si ripara con formule ampollose e discorsi rotondi ed inattaccabili, ma cerca -insieme alle parti- sviluppando l'ego dialogico, di trovare la via per la risoluzione della controversia insieme a chi accetta di condividere l'esperienza.

Il mediatore seduce conducendo le parti verso sé e conduce portando gli altri verso la risoluzione della controversia, è mentore e consigliere affidabile che conduce verso la via della soluzione.

La caratteristica della Convocatività consiste nell’utilizzare forme comunicative performative “aperte”, nel senso che il loro effetto performativo -una certa risposta linguistica o comportamentale del locutario- non è né automatica né obbligata (esempio: «faccio appello ad una partecipazione attiva dei presenti…».

La terapia per una azienda malata consiste in un problem solving strategico che prevede i seguenti step:

 definizione del problema da risolvere
 obbiettivo da raggiungere
 tentare soluzioni funzionali
 costruzione intensiva per promuovere un cambiamento vero con micro-obbiettivi progressivi
 effetti e strategie
 chiusura intervento.

Tentare soluzioni nuove, anche audaci, ma che funzionino (perché, come diceva A. Robbins "Se fai quello che hai sempre fatto, otterrai quello che hai sempre ottenuto").
L’ostentazione verso quella che riteniamo essere l’unica strategia possibile, non solo non risolverà la difficoltà iniziale ma addirittura la potrebbe alimentare complicandola, trasformandola in un vero e proprio circolo vizioso, all’interno del quale ciò che viene fatto nella direzione del cambiamento alimenta la persistenza di ciò che dovrebbe essere cambiato, creando un conflitto strutturato.
L’intervento strategico del mediatore è finalizzato ad innescare all’interno del sistema organizzativo una spirale virtuosa che interrompe il circolo vizioso, attraverso l’introduzione di cambiamenti che generino un’evoluzione in positivo della situazione problematica, dopo accurata analisi.

In ogni intervento strategico è importante considerare tre piani che sono compresenti all’interno di ogni organizzazione:
 le strategie per raggiungere determinati obiettivi
 la loro applicazione
 le tentate soluzioni messe in atto, ovvero cosa le persone hanno già fatto e non ha funzionato o ha funzionato solo in parte.

Iter schematico per un mediatore:

a. ANAMNESI: Come è avvenuto il conflitto
i. Concentrarsi sulle soluzioni possibili, senza porre limiti
b. DIAGNOSI: Commerciale
i. Relazionale
c. PROGNOSI: Prospettiva di vita e salute
i. Scenari
d. TERAPIA:
i. altri tentativi possibili.

Re: DOTTRINA E SCRITTI SULLA MEDIAZIONE

Inviato: dom ago 05, 2012 12:09 pm
da GiovaniAvvocati
Le “controversie in materia di condominio”.
di Elio Aliperti

Non esiste ancora un’applicazione consolidata, ma è necessario stigmatizzare il temine presente nell’elenco delle materie per le quali è previsto il tentativo obbligatorio di conciliazione di cui all’art. 5 c.1 del d.lgs. 28/2010 che riguarda le “controversie in materia di condominio”.

Il condominio è un “ente di gestione” senza personalità giuridica e senza autonomia patrimoniale, con il compito di preservare le parti comuni dell’edificio e garantire la funzionalità dei servizi per la soddisfazione degli interessi comuni dei condòmini.

Ovviamente notevoli sono le controversie che riguardano i rapporti tra condòmini o tra questi e terzi estranei al condominio (esempio i fornitori).

Mentre ad esempio la controversia instaurata per un appalto concluso tra il condominio e un terzo appaltatore per lavori condominiali, resterà assoggettata a quanto disposto in materia dal C.C., nessun dubbio nasce invece in materia di delibere assembleari.

Le “controversie in materia di condominio” riguardano:
 il godimento
 la conservazione e la gestione delle parti comuni
 le delibere assembleari indipendentemente dall'oggetto
 le azioni a tutela del condominio e dei condomini nei confronti dell'amministratore
 le azioni che pur attendono i diritti dei singoli partecipanti.

Restano escluse invece da tale categoria le liti nascenti tra il condominio ed i terzi.
Discutibile è l’assoggettamento alla mediazione obbligatoria delle cause che vedrebbero parte “passiva” il condominio contro un fornitore di servizi (esempio: di pulizia, di manutenzione ascensore o caldaie ecc.) o contro le ditte appaltatrici per lavori eseguiti al fabbricato condominiale.

Possiamo dunque affermare che non sono oggetto di mediazione obbligatoria:
 i ricorsi per decreto ingiuntivo ex art. 63 disp. att. C.C. inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione
 i procedimenti di urgenza e cautelari (ex art. 700 C.P.C.)
 i procedimenti possessori
 i procedimenti in Camera di Consiglio (domanda di nomina/revoca dell’amministratore di condominio, provvedimenti necessari per l’amministrazione della cosa comune ex artt. 1104, 1105 C.C.).


Un focus a parte merita la legittimazione processuale dell'amministratore.

Depositaria del potere decisionale è l’assemblea dei condòmini, mentre all’amministratore compete solo il ruolo di mero esecutore materiale delle volontà assembleari. Quindi nessun potere decisionale è riconosciuto all’amministratore del condominio in quanto tale.
L’art. 1131 C.C., attribuisce allo stesso il potere di rappresentanza dei condòmini e di azione in giudizio, ma nell’ambito delle attribuzioni derivanti dall'art. 1130 C.C., dal regolamento condominiale o dalla volontà assembleare.
In tal senso, la Corte di Cassazione (sentenza del 6 agosto 2010 n. 18331) ha avvertito l'esigenza di distinguere tra controversie che ricadono nell’ambito delle attribuzioni dell'amministratore a seguito delle vigenti normative (che lo legittimano ad agire, a resistere in giudizio e a proporre le impugnazioni senza necessità di ulteriore specifica autorizzazione dell'assemblea) da quelle che si pongono al di fuori di tali limiti, per le quali è necessario che l'amministratore ottenga l'autorizzazione dell'assemblea a proporre l'azione, l'impugnazione o a resistere in giudizio ai sensi degli artt. 1131, c.2 e 1136, c.4 C.C. Pur se l'art. 1131, c.4 C.C. afferma che l'amministratore che agisca in mancanza dell'autorizzazione dell'assemblea possa essere revocato e rispondere dei danni, alcuna norma disciplina le conseguenze di tale omissione sul piano processuale.

La copiosa giurisprudenza sull’argomento, può essere racchiusa in due orientamenti contrastanti:

 il primo, maggioritario, ritiene che l'amministratore può costituirsi in tutti i giudizi promossi nei confronti del condominio, può proporre le impugnazioni anche senza l’autorizzazione dell’assemblea dei condòmini, effettuando un’interpretazione estensiva dell’art. 1131 C.C. e considerando che l’amministratore sia titolare di una rappresentanza processuale passiva senza alcun limite (basta che l'amministratore ne dia immediata notizia all'assemblea senza che ciò vada ad incidere sui suoi poteri rappresentativi processuali)
 il secondo, minoritario, sostiene invece che in assenza di tale autorizzazione assembleare, l'amministratore non è legittimato a costituirsi e ad impugnare, perché l'art. 1131, c.2 C.C. tende solo a favorire il terzo che volendo iniziare un giudizio nei confronti del condominio, può notificare la citazione al solo amministratore anziché a tutti i condòmini.

La citata sentenza della Corte di Cassazione a SS.UU. ha espresso il principio che l'amministratore convenuto possa, anche autonomamente e senza la necessaria autorizzazione assembleare costituirsi in giudizio ovvero impugnare la sentenza sfavorevole, sempre che il suo operato sia ratificato, con effetti ex tunc dall'assemblea, titolare del relativo potere.
In questo modo i condòmini dissenzienti rispetto alla lite vedono preservati i loro diritti, come previsto dall'art. 1132 C.C.

In senso opposto va invece la successiva sentenza della Corte (sent. 23 agosto 2011 n. 17577) che invece conferma che “in tema di controversie condominiali, la legittimazione dell'amministratore del condominio, dal lato attivo coincide con i limiti delle sue attribuzioni, mentre dal lato passivo, non incontra limiti e sussiste in ordine ad ogni azione concernente le parti comuni dell'edificio.”

Nelle more di una soluzione dell’annosa questione, non possiamo non calare la figura dell’amministratore nella procedura di mediazione e verificare gli scostamenti, rispetto al contesto giudiziale.
È opinione prevalente che l'amministratore di condominio ha legittimazione a proporre l'azione o l'impugnazione e a resistere in giudizio, senza necessità di autorizzazione da parte dell'assemblea, per tutte le controversie il cui oggetto rientri nell'ambito delle sue attribuzioni, previste dall’art. 1130 C.C. Al di fuori di tali attribuzioni, l'amministratore deve ottenere l'autorizzazione dell'assemblea (anche successiva) sotto pena di revoca del mandato e risarcimento del danno.

Ma può l’amministratore conferire mandato ad un legale per rappresentare il condominio in giudizio?

Sia la dottrina che la giurisprudenza ritenevano che l’amministratore fosse legittimato, anche senza il preventivo consenso dell’assemblea condominiale, a poter “resistere” in giudizio ed a proporre azioni a difesa delle parti comuni.
Poi è prevalso un orientamento diverso grazie ad alcune pronunzie della Cassazione, con sentenza n. 22294 del 26 novembre 2004, che ha sancito che “l’autorizzazione della assemblea a resistere in giudizio in sostanza non è che un mandato all’amministratore a conferire la procura ad litem al difensore che la stessa assemblea ha il potere di nominare, per cui, in definitiva, l’amministratore non svolge che una funzione di mero nuncius.”

Anche la dottrina prevede che “in assenza della delibera dell’assemblea dei condòmini che autorizzi l’amministratore a resistere in giudizio, l’amministratore è carente di legittimazione processuale, donde discende l’irritualità della costituzione del rapporto processuale e, per l’effetto, l’inammissibilità della costituzione in giudizio del condominio”: Tribunale di Torre Annunziata, sezione distaccata di Torre del Greco, sentenza 19 ottobre 2006.

La giurisprudenza amministrativa ha anch’essa ritenuto che fosse “inammissibile l’atto di intervento in giudizio di un condominio ove la deliberazione assembleare con cui è stato ratificato l’intervento risalga a epoca successiva alla notifica dell’atto di intervento stesso” (T.A.R. Lombardia Milano, 4 luglio 2002, n. 3115), ovvero che “l’amministratore di condominio non è legittimato a impugnare -in difetto di delibera dell’assemblea dei condòmini- il provvedimento sindacale contingibile e urgente adottato nei confronti del condominio” (Cons. Stato, 21 luglio 1988, n. 478).
Tale interpretazione è stata confermata anche dalla Cassazione nel 2006 (sentenza della II sezione civile del 25 gennaio 2006, n. 1446) che ha espressamente statuito che: “Nulla, contemporaneamente, nella stessa norma, giustifica la conclusione secondo cui l’amministratore sarebbe anche legittimato a resistere in giudizio senza essere a tanto autorizzato dall’assemblea. Considerato, inoltre, che la cosiddetta autorizzazione dell’assemblea a resistere in giudizio in sostanza non è che un mandato d’amministratore a conferire la “procura ad litem” al difensore che la stessa assemblea ha il potere di nominare, in definitiva, l’amministratore non svolge che una funzione di mero “nuncius” e che pertanto è inammissibile l’azione proposta dall’amministratore “senza espressa autorizzazione della assemblea.”

Con la nuova normativa, mentre sembra rientrare nelle facoltà dell’amministratore quella di sottoscrivere l’informativa relativa alla possibilità di avvalersi della mediazione, non altrettanto chiara e concorde è la dottrina sulla possibilità dell’amministratore di essere parte del procedimento di mediazione senza il preventivo assenso dell’assemblea condominiale.

Per la mediazione obbligatoria qualsiasi scelta operata dall’amministratore, sebbene in buona fede e nell’esclusivo interesse del condominio, potrebbe, in astratto, essere oggetto di critica dal condominio (o da alcuni condòmini).

A poco servirebbe il fatto che l’amministratore, avendo ricevuto un invito al procedimento in mediazione, invii una comunicazione all’Organismo di Mediazione per posticipare il primo incontro, consentendogli di convocare l’assemblea. Infatti il problema potrebbe non essere risolto nel caso in cui l’assemblea vada “deserta”.
È consigliabile quindi che -essendo entrata in vigore la normativa in esame- l’amministratore convochi un’assemblea ponendo all’o.d.g. la questione in modo da indirizzare l’operato dell’amministratore esonerandolo dalla necessità di prendere decisioni e responsabilità della scelta (esempio di o.d.g. “Mediazione ex d.lgs. n. 28/2010: entrata in vigore del tentativo obbligatorio di mediazione in materia condominiale dal marzo 2012. Autorizzazione all’amministratore pro tempore del condominio a partecipare al procedimento di mediazione e conferimento di autorizzazione preventiva a conferire mandato ad un avvocato e/o un perito/tecnico per l’assistenza e la consulenza in sede di mediazione e/o in sede giudiziaria in caso di mancata conciliazione.”). In quella sede, l’Assemblea potrà fornire indicazioni per gli argomenti oggetto della mediazione. Se in sede di mediazione, si prospetta un’ipotesi di conciliazione, l’amministratore dovrà comunque convocarne un’altra ponendo all’o.d.g. i termini precisi della eventuale proposta. L’assemblea delibererà se accettare la proposta.

Cosa accadrebbe nel caso di deliberazione assembleare con accettazione della proposta ma con quorum insufficienti?

In caso di mancata impugnazione, l’amministratore procede alla sottoscrizione del verbale di conciliazione.
In caso di impugnativa, posti i tempi della giustizia, dell’eventuale annullamento del deliberato sarebbero difficilmente riproducibili in un verbale di conciliazione.

Si è detto che se la lite rientra tra le attribuzioni dell'amministratore, questi non necessita dell'autorizzazione dell'assemblea, che sia per promuovere l'istanza di mediazione o aderirvi. L'amministratore sarà dunque responsabile nei confronti del condominio per eventuali danni derivanti a quest'ultimo se l’accordo di mediazione non soddisfa la posizione del condominio rappresentato.
È scontato invece che l’amministratore, come per la transazione, non possa sottoscrivere alcun verbale conciliativo se non autorizzato da specifica delibera condominiale che recepisca preventivamente ed integralmente il contenuto della mediazione.
Le eventuali maggioranze necessarie affinché si possa effettivamente partecipare alla mediazione e/o far sottoscrivere un verbale di conciliazione all’amministratore sono:

 il consenso della totalità dei condomini
o per le mediazioni che prevedano la rinunzia ai diritti reali su parti comuni (a favore di un condomino o di un terzo) e/o comunque atti di alienazione di parti comuni o di costituzione su di esse di diritti reali o per le locazioni ultranovennali
 le maggioranze ex art. 1136, c.4.
o in caso di vertenze relative a pendenze economiche (esempio: riparto di spese condominiali oppure la definizione di pendenze col precedente amministratore).

Per poter impegnare il condominio, l'amministratore, oltre ad essere autorizzato a stare in mediazione, deve anche ottenere l'approvazione del contenuto dell'accordo da parte dell'assemblea; solo dopo, infatti, egli potrà sottoscrivere il verbale di conciliazione con effetti vincolanti per il condominio. La deliberazione seguirà gli ordinari criteri di maggioranza.
Se la delibera è nulla (esempio: oggetto impossibile o illecito, o non di competenza dell'assemblea) idem sarà per il verbale di conciliazione.
Se annullabile (esempio: viziata nel quorum costitutivo o deliberativo, o mancata convocazione di uno o più condòmini) l'annullamento dev'essere richiesto entro il termine di decadenza di cui all'art. 1137 C.C., con la conseguenza che qualora non tempestivamente impugnata, la delibera dell'assemblea acquisterà efficacia definitiva, non inficiando così in alcuna parte il verbale di conciliazione sottoscritto dall'amministratore in forza dell'autorizzazione derivante dalla decisione assembleare viziata ma sanata per effetto della mancata opposizione.

In merito poi ai tempi sorgono indubbiamente delle difficoltà.

Per legge, è previsto che il primo incontro tra le parti sia fissato dal responsabile dell’organismo di mediazione non oltre 15 giorni dal deposito della domanda di mediazione: riuscirà l’amministratore in questi ristretti tempi a convocare l’assemblea?
Tali aspetti di non semplice applicazione della procedura di mediazione di controversie in materia di condominio auspicano un intervento da parte del legislatore che fornisca chiarimenti operativi.

Re: DOTTRINA E SCRITTI SULLA MEDIAZIONE

Inviato: dom ago 05, 2012 12:12 pm
da GiovaniAvvocati
Bullismo e mediazione scolastica

— Il bullismo è una forma di comportamento aggressivo che presenta caratteristiche peculiari e distintive, riconosciute a livello internazionale. La conoscenza dei suoi aspetti può permettere agli adulti, nel ruolo di educatori e genitori, di intervenire con strategie efficaci, in una dimensione sia preventiva che di contrasto. —

Strategie contro il bullismo nelle scuole.
Il conflict coaching e la mediazione scolastica.
di Maria C. D’Amico

Entro in classe, la ricreazione si è appena conclusa e la mia alunna, Manuela, mi viene incontro un po’ preoccupata.
«Prof. ho rotto il fanalino del motorino di Enzo, lui mi ha tradito, ieri in discoteca è andato con un’altra, e io … prof. ho rotto il fanalino, proprio davanti alla telecamera che ha montato il preside giù in atrio per evitare i continui furti dei motorini … prof. mi aiuti mi condanneranno per bullismo?»

Con questo "dilaniante interrogativo" della mia giovane alunna, che sperimentava le prime pene d'amore, reagendo in modo alquanto impetuoso, decido di spostare il focus della mia lezione di diritto, sicché nella classe e con la classe affrontiamo l'accaduto, e la controparte fedifraga.
Rassicuro la studentessa, dando una definizione chiara di atti di bullismo e la invito a non ripetere mai più un simile gesto.
La studentessa si offre di ripagare il fanalino rotto e chiede anche scusa, aggiungendo tuttavia di non voler mai più tornare con Enzo, neanche se restasse l'ultimo uomo sulla faccia della terra.
Enzo dal canto suo sa di avere sbagliato, ma inevitabilmente non riconosce l’errore e chiede un approfondimento sul tema bullismo, forse per evitare altri argomenti.

La classe, divisa tra innocentisti e colpevolisti, pro-Enzo e non, partecipa animatamente al dibattito tra diritto e morale, tra nozione di bullismo e scatti d'ira; la lezione di diritto è diventata lezione di vita, indagine, approfondimento.
Da questo episodio prende spunto un modulo che annualmente affronto nelle mie classi e che ho deciso di condividere con i lettori sul tema del bullismo e del conflict coaching nelle scuole.

I ragazzi amano il termine “coach”, che nell'ambito sportivo è l’allenatore, il preparatore, e personalmente ritengo fondamentale nella scuola la presenza di un conflict coach, in grado di gestire la conflittualità, anche tra genitori e insegnanti, gli episodi di bullismo ed altre problematiche con un progetto di crescita mirato e con traguardi specifici da raggiungere rispetto alle diverse componenti presenti nella scuola.

Il conflict coach non è uno psicologo in senso classico, ma deve avere un buon bagaglio di preparazione in tale ambito e deve trovarsi in una posizione di terziarietà rispetto ai docenti; ecco perché un docente non può essere un conflict coach, anche se può utilizzare tecniche di conflict coaching come l'ascolto attivo, la formulazione di domande chiarificatrici, per gestire alcune problematiche della classe.
Per intenderci, nell’episodio precedentemente citato, il docente poteva mantenere terziarietà rispetto all'evento; ma nel caso di conflittualità famiglia-docente un conflict coach appartenente alla categoria docente avrebbe difficoltà ad uscire dal proprio ruolo e/o ad essere percepito come imparziale dalla categoria genitoriale.
Inoltre il docente, essendo sempre in classe, non può monitorare determinati eventi che avvengono fuori da essa.

La conoscenza di tecniche di conflict coaching è invece fondamentale per quel docente che vuole aiutare la classe a gestire la conflittualità che può emergere nell’iter formativo.

Nel 2004 mi trovai a svolgere per un anno compiti affini al conflict coaching e rientranti nella figura del tutor.

La scuola italiana sosteneva la necessità della presenza di strutture di sostegno tra le quali la tutorship, ed anche nel passato si erano sperimentate esperienze di docente-tutor, come accadeva nel ‘92 con l'introduzione negli istituti professionali statali della figura del docente-tutor.


Il tutor come “struttura di sostegno” all’innovazione

L’idea di HUBERMAN riassume in modo concreto i quattro macro-ruoli che le Indicazioni Nazionali attribuiscono al docente con funzioni di tutor:
 Catalizzatore facilitatore. Il tutor raccoglie malumori, dissapori, malintesi e li rende chiari, solleva un problema concreto; facilita la comunicazione, avvia alla soluzione del problema.
 Collegamento esterno.
 Consigliere tecnico. Per il reperimento di risorse nel territorio
 Innovatore. Per cambiamento intenzionale.

Nell'esperienza personalmente vissuta come docente-tutor all’interno di un istituto commerciale paritario l'attività di “collegamento esterno” è stata intensa, grazie alla stesura di vari articoli sulle iniziative portate avanti dalla scuola, che hanno dato una maggiore visibilità dell’istituto all'esterno.
Molte sono state le innovazioni didattiche suggerite, proposte e ben accolte da alcuni docenti.
Incompleta è stata l'attività di “consigliere tecnico”, a causa del mancato perdurare dell’incarico.
Fallimentare è stata l'attività di “catalizzatore facilitatore”, poiché i colleghi non accettavano quella che vivevano come un'intrusione e cioè la raccolta di malumori e dissapori da affrontare con chiarezza e per la creazione di soluzioni.

Ritengo che oggi la mediazione scolastica vada orientata principalmente al superamento degli episodi di bullismo, e deterrente alla crescita della violenza senza tuttavia trascurare la altre aree precedentemente affrontate, ma sempre con grande garbo e professionalità, con un approccio molto soft, che non urti la suscettibilità di alcuno, specialmente dei colleghi docenti.
Del resto non posso negare che nei quindici anni di insegnamento ho incontrato molti insegnanti permalosi e difficili, ma tutti lodevolmente consci dell’importanza del loro ruolo nei confronti degli studenti.

La delega che, negli ultimi anni ha caratterizzato la famiglia italiana, poco consapevole del proprio ruolo e responsabilità, non ha caratterizzato a mio personale avviso la classe docente, che malpagata e a volte bistrattata, ha sempre e comunque svolto il proprio ruolo, o quantomeno ha sempre cercato di farlo.
È vero ci sono insegnanti molto rigorosi, a volte poco comprensivi; alcuni non sono grandi fruitori delle moderne tecnologie che possono rendere la lezione più interessante, ma la maggior parte vive l’insegnamento come un lavoro-missione, la cui mission è appunto la formazione del cittadino, con una forte dimensione etica.
È per questo che dobbiamo “tenere duro” e fare squadra: Scuola, Famiglia e Stato.
Non dovremmo permettere che i ragazzi tornino a casa dicendo quel che vogliono dell'insegnante, ma dovremmo arginare lo "strapotere" di alcuni docenti; non dovremmo cedere alla tecnologia ad ogni costo, ma avvantaggiarci dell’utilizzo di essa.
Tutto questo richiede maggiore attenzione verso il mondo della scuola ed anche verso l’attività di coaching e mediazione scolastica.

La nostra società necessita di figure professionali che sappiano porsi nel mezzo dei problemi, riconoscerli, capirli e –in ultima battuta– elaborarli e risolverli, dirimendo conflitti e sciogliendo i nodi delle incomprensioni.
Questo costituisce un passo di primaria importanza, a fronte della sempre maggiore intolleranza, problematicità e violenza che, paradossalmente, contraddistingue il nostro vivere quotidiano.
Sembra che la cosiddetta “società della comunicazione” si riveli spesso luogo di conflitti, scontri, diffidenze e dell’inconciliabilità, rivelando l’importanza di una sapiente attività di coaching in grado di contrastare il dilagare della violenza e del bullismo.

Il coaching è un’attività di potenziamento delle risorse umane e materiali della scuola volta all'eccellenza; è attività di risoluzione di quegli ostacoli che impediscono il ben-essere dello studente nella scuola; è contrasto alla conflittualità e al bullismo attraverso idonee tecniche di gestione della problematica.


Aree del coaching.

Un’area fondamentale del coaching, che ora esamineremo in dettaglio per la rilevanza all’interno del nostro progetto è il contrasto al bullismo.
Il contesto scolastico ha a che fare con la fascia di età dell’adolescenza, per sua natura sensibile, problematica e instabile, oggi più che mai connotata da fenomeni di violenza di vario tipo.
Parolacce, offese e "prese in giro", ma anche minacce, botte … in una sola parola bullismo. Quelli appena elencati sono gli atti di bullismo che i ragazzi denunciavano nell'ambito di una tra le prime ricerche condotta nel 2001 nella provincia di Trento e realizzata dall’associazione Villa Sant’Ignazio.
Dalla ricerca emergono episodi di violenza e sopraffazione in aula, ed anche nei corridoi; il 50% degli intervistati ha dichiarato di essere stato vittima di episodi di bullismo, talvolta ricorrenti.
Sorrido pensando ai racconti dei miei alunni di Recoaro, che, divertiti, mi riferivano gli scherzi subiti in occasione dei primi giorni di scuola e che avevano destato anche la preoccupazione degli autisti delle Ftv.
Ma questo è ben altro problema, perché un po’ di goliardia scolastica non ha mai ucciso nessuno; il bullismo al contrario è un fenomeno in preoccupante ascesa, motivo per il quale è necessario tracciare una linea di confine e riuscire a gestire il dilagare della prepotenza che è segnale di un forte disagio giovanile, che colpisce in particolar modo la fascia d'età dei quattordicenni.
Se è vero che questa stessa popolazione scolastica sarà chiamata, nel futuro, ad assumere un ruolo attivo, propositivo, all’interno della comunità di appartenenza è fondamentale educarla al rispetto, alla comprensione, all’ascolto e alla mediazione pacifica dei conflitti.
Nel momento in cui l’organizzazione scolastica intende farsi carico di questi problemi, inquietanti, ma imprescindibili, diviene assolutamente necessario prevedere spazi e risorse di ascolto, di dialogo, comunicazione e comprensione.
Risorse, tali da promuovere, nella scuola, una cultura della mediazione pacifica dei potenziali conflitti ed una cultura dell’aiuto reciproco.


Bullismo: definizioni del fenomeno.

"Uno studente è oggetto di azioni di bullismo quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o più compagni” (OLWEUS 1996).
“Il comportamento da bullo” si concreta in azioni fisiche o verbali che mirano deliberatamente a far del male o danneggiare; spesso è un comportamento persistente, che si protrae settimane, mesi e persino anni e dal quale è difficile difendersi per coloro che ne sono vittime.
Alla base della maggior parte dei comportamenti sopraffattori c’è un abuso di potere e un desiderio di intimidire e dominare” (SHARP E SMITH 1995).
L’azione del bullo nei confronti della vittima è intenzionale e non si concreta in un singolo episodio di angheria tra studenti, ma nell’instaurarsi di una relazione che, cronicizzandosi, crea dei ruoli definiti:
 La vittima, colui che subisce le prepotenze.
 Il bullo, colui che le perpetra.

Il bullismo non è un problema individuale, ma sociale che richiede la presa in carico da parte di scuole, famiglie, istituzioni.
Nel bullismo si manifesta sempre uno squilibrio in termini di forza, età, componente numerica ed un’asimmetria nella relazione (OLWEUS 1996).
Gli insegnanti più giovani di età e di servizio dimostrano di “accorgersi” di più degli altri dell’esistenza del fenomeno e sembrano essere più “attenti”. In questo senso l’area di docenza ha un certo peso.
I docenti hanno segnalato la prevalenza della prepotenza come risposta a provocazioni (52%) seguite dalla negazione del problema (22%) e dal rifiuto di spiegazioni (16%), che è maggiore verso le insegnanti donne e gli insegnanti giovani.
Ciò potrebbe, secondo gli osservatori, far pensare ad una maggior autorevolezza dell’insegnante maschile e di quello che ha maggior anzianità di servizio.
Le reazioni dei ragazzi raccolte dagli insegnanti in risposta al richiamo effettuato per l’atteggiamento prepotente riguardano prevalentemente il dare la colpa agli altri (56%), l’assumere un atteggiamento di sfida (47%), la negazione del problema (36%), la ricerca di scuse (33%).
Insomma delineano il quadro di un ragazzo poco disposto a riconoscere le proprie responsabilità (6%) che cerca anche l’appoggio del gruppo.
Secondo gli insegnanti una possibile strategia di risposta è costituita da ’’essere più severi” (33%) e nel “far riflettere i ragazzi” (77%); risposte che mettono in primo piano l’idea che con i ragazzi si deve dialogare e si deve comprenderli, ma nel medesimo tempo occorre essere fermi e contrattuali.
Sono gli insegnanti più giovani a prevalere sul fronte della fermezza mentre gli altri esprimono in maggioranza la necessità di dialogare.


Elementi di contrasto al bullismo.

L'educazione all'emotività è in realtà un aspetto importantissimo per fronteggiare tale problematica, come anche la diffusione di una cultura della pace, della mediazione.
Non a caso la presenza di contenuti violenti delle trasmissioni televisive ha ampiamente acuito il problema.


Modelli antibullo.

Parlare con i giovani riportando i casi lodevoli di iniziative contro il bullismo può scuotere le loro anime.
Ad esempio la popstar Lady Gaga, colpita profondamente dai recenti suicidi di adolescenti vittime di bullismo, ha deciso di fare la sua parte creando "Born This Way", un'organizzazione che si occuperà di counseling per adolescenti e di tematiche come la fiducia in se stessi, benessere, anti-bullismo, life coaching.
L'affascinante e ammirato Justin Bieber, idolo delle adolescenti di tutto il mondo, è stato vittima di bullismo. E l'effetto benefico della sua popolarissima immagine andrà a tutto vantaggio di questo importante tema sociale, dal momento che il cantante ha deciso di scendere in campo contro un fenomeno che sembra averlo toccato in prima persona e di aver, dunque, vissuto sulla sua pelle l’esperienza che affligge così tanti ragazzi in tutto il mondo. Per questo motivo ha concesso la sua canzone al documento “Bully”, che racconta la storia di cinque adolescenti angosciati da alcuni bulli.
I giocatori della Liomatic Viola [squadra di pallacanestro di Reggio Calabria N.d.R.], invece, da febbraio 2012 hanno portato avanti il progetto "quando i giganti non diventano bulli ", dove raccontano il loro impegno sportivo come valvola di sfogo all'aggressività adolescenziale e modello di comportamenti virtuosi.

L'azione pedagogica deve essere preventiva e coinvolgere docenti alunni e corpo non docente, affrontando le dinamiche relazionali giovanili attraverso l'intervento di un mediatore scolastico che crei un contesto facilitante, che attivi o riattivi la comunicazione fra le persone permettendo loro di gestire o trasformare positivamente la condizione di rottura nella quale si trovano, nella ricerca di un accordo soddisfacente.


Il mediatore scolastico deve pertanto:
 Promuovere capacità socio-emozionali negli studenti.
 Promuovere nella comunità il dialogo e la comunicazione come strategie per affrontare la conflittualità.
 Promuovere il protagonismo e la partecipazione attiva.
 Proporre uno stile educativo negoziale agli adulti di riferimento, e non il riferimento alla sanzione e all'esclusione come modalità unica di gestione del conflitto.
 Sensibilizzare alla dimensione positiva del conflitto.

La scuola in tal modo diventa palestra di vita, dove l'esercizio della mediazione può estendersi ad altri ambiti, moderando anche la componente di ribellione che è insita nell'adolescente ed indirizzandola al raggiungimento di obiettivi concreti e vantaggiosi nella relazione familiare e con il docente.
I giovani, infatti, sono molto sensibili e hanno bisogno di attenzioni e di dialogo. Dosare autorevolezza e ascolto attivo è fondamentale per conquistare la loro fiducia, insieme ad un feedback continuo da formatori e dirigenti.
Il metodo dell'inclusione sociale prevede inoltre un importante impegno della comunità scolastica anche nell’aiutare il bullo a recuperare uno status di accettabilità tra i compagni.
Quando il bullo sarà infatti ready for change, cioè pronto al cambiamento, si attueranno delle forme di giustizia riparativa, che lo aiuteranno a rientrare nella classe.