Messaggioda GiovaniAvvocati » lun nov 08, 2010 8:19 pm
IL SOLE 24 ORE
Chance mediazione per le aziende
Da marzo 2011 la procedura diventerà obbligatoria per moltissime controversie civili
lun. 8 - Aprono a marzo i battenti della mediazione obbligatoria. Ed è una buona notizia non solo per i privati cittadini e per i tribunali, che in caso di successo potranno assistere alla riduzione dei propri carichi di lavoro, ma anche per il mondo delle attività produttive. Perché in quattro mesi – tanto deve durare al massimo la procedura – potranno tentare di risolvere in via amichevole (o quasi) buona parte del contenzioso civile che le coinvolge. Dalle controversie in materia di contratti assicurativi, bancari e finanziari, fino alle liti in materia di affitto d'azienda. In tutti questi casi, infatti, diventa obbligatorio fare tappa in uno degli organismi di conciliazione distribuiti sul territorio prima del l'eventuale ricorso al giudice ordinario.
Per tutte queste materie, e anche per le altre che coinvolgono in prima battuta soprattutto i privati cittadini e che sono comunque di grande impatto (si pensi alle liti di condominio o alle cause sul risarcimento danni in seguito a incidenti stradali), la mediazione diventa «condizione di procedibilità». Il soggetto interessato, in sostanza, non può citare direttamente in giudizio la controparte, ma deve prima attendere l'esito di questa nuova procedura-filtro: se è positivo, chiude definitivamente una vertenza che altrimenti durerebbe anni. È vero che quasi tutti i precedenti tentativi di introdurre meccanismi per la composizione amichevole delle cause non sono mai decollati veramente e sono stati poco utilizzati dagli operatori. Non solo e non sempre per ragioni legate a un funzionamento farraginoso. Spesso chi imbocca la via del tribunale ha motivi strumentali e vuole spingere la controparte a una futura transazione: pur di sottrarsi alle lungaggini della giustizia civile il potenziale vincitore della lite accetterà anche di rinunciare a parte delle proprie ragioni. Il caso classico è quello del debitore, a favore del quale giocano i tempi biblici dei tribunali che allontanano a
dismisura il momento di saldare il conto.
Oggi, invece, il ricorso alla mediazione è reso obbligatorio in alcune materie (indicate nel grafico a lato) e proprio per questo ha qualche chance in più di efficacia. Sotto due punti di vista, se si guarda al meccanismo dietro la lente delle imprese. Un vantaggio diretto è costituito dalla celerità con la quale si può raggiungere l'accordo, celerità che si riflette immediatamente sui conti. Un vantaggio indiretto sta invece nel fatto che tanti più successi la mediazione riesce a raccogliere, tante meno cause finiscono nell'ingranaggio della macchina giudiziaria. E quella dell'eccessiva durata dei procedimenti civili – che dipende proprio dalle dimensioni dell'arretrato – è una delle variabili che da troppo tempo tiene lontani gli investitori stranieri dai nostri confini.
Quanto alle materie per cui la mediazione è diventata obbligatoria, la scelta fatta tiene conto di un elemento preciso: tanto più sarà utilizzata nelle controversie che insorgono nei legami di lunga durata, nei quali è più forte la volontà di mantenere saldi i rapporti, tanto più avrà successo. È il caso, ad esempio, dell'affitto di azienda che lega due soggetti per un consistente numero di anni.
Non si può certo escludere che in futuro si allarghi il ventaglio delle materie per cui la mediazione dovrà essere un passaggio obbligato. Ma già così è evidente un effetto importante del nuovo istituto che gioca a favore soprattutto delle attività produttive di piccole dimensioni. Oggi il numero di controversie in materia di contratti – assicurativi, bancari e finanziari – è senza dubbio molto rilevante. Ma spesso si tratta di un contenzioso che non viene azionato in giudizio perché l'impresa di piccole dimensioni – come del resto il cittadino – si sente impotente di fronte a un grande istituto bancario e rinuncia a far valere i propri diritti ancor prima di cominciare. Con l'avvio della mediazione, invece – grazie anche a costi e tempi ridotti – potrebbe trovare risposta anche questa esigenza di giustizia rimasta finora sommersa. Andrea Maria Candidi
IL SOLE 24 ORE
I motivi del contendere
01|CONTRATTI ASSICURATIVI In questo campo (dove peraltro è possibile assistere allo scontro della compagnia di assicurazioni con un'altra impresa) un'imprenditore potrebbe contestare alla compagnia l'inserimento di una clausola che subordina l'operatività della garanzia assicurativa all'adozione, da parte dell'assicurato, di determinate misure di sicurezza 02|CONTRATTI BANCARI Si pensi all'amministratore dell'impresa che effettui operazioni bancarie anomale e lesive per la propria impresa all'insaputa di un altro amministratore: l'istituto di credito potrebbe essere chiamato in giudizio per inadempimento contrattuale 03|CONTRATTI FINANZIARI Un'ipotesi classica di controversia, in tema di contratti di intermediazione finanziaria, è quella che scaturisce la responsabilità solidale della società di intermediazione per gli eventuali danni arrecati ai terzi nello svolgimento delle incombenze affidate ai promotori finanziari 04|PATTI DI FAMIGLIA Si tratta dei contratti con cui l'imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l'azienda o le quote di partecipazione al capitale della «società di famiglia» a uno o più discendenti. Il problema può sorgere quando al contratto non partecipino tutti i legittimari, compreso il coniuge 05|LOCAZIONE Nel mirino i contratti di locazione a uso non abitativo, per attività commerciali. Ad esempio, al termine del contratto, il conduttore potrebbe chiedere il riconoscimento dell'indennità per la perdita dell'avviamento e può quindi sorgere una controversia sull'effettivo utilizzo dell'immobile locato quale esercizio aperto al pubblico 06|AFFITTO DI AZIENDE Nell'affitto di azienda una possibile causa di contenzioso può sorgere in relazione al mancato rilascio della licenza per l'esercizio di un'attività commerciale che può incidere sulla validità e sull'efficacia dell'affitto della relativa azienda da parte del titolare di essa. La mediazione, in questo campo, può essere utilizzata anche per dirimere questioni relative al mancato rispetto di un patto di non concorrenza 01|CONDOMINIO Una delle principali fonti di contenzioso è quella che nasce sulla porta di casa. Dall'impugnazione delle delibere assembleari adottate in mancanza dei quorum previsti, fino alle vere e proprie liti sull'uso e l'abuso delle parti comuni. Si pensi al caso classico della regolamentazione dell'uso del cortile condominiale quale parcheggio per le autovetture
02|DANNI DA INCIDENTI STRADALI Altro capitolo importante quanto a numero di cause che finiscono sui tavoli dei giudici civili quello della responsabilità civile per veicoli e natanti. Fonte principale di scontro è la misura del risarcimento, ma spesso è contestata anche la mancata contestuale corresponsione dei danni patrimoniali e non patrimoniali 03|SUCCESSIONI E DIVISIONI Ricchissima anche la "letteratura" sulle controversie in tema di successioni e divisioni ereditarie. Dall'impugnazione del testamento al divieto di stilare patti successori, fino alla definizione e alla individuazione degli eredi 04|DIRITTI REALI La tutela giurisdizionale del diritto di proprietà passa per il tentativo obbligatorio di conciliazione. Rientrano in questa categoria anche istituti giuridici quali l'enfiteusi, il diritto di superficie, l'usufrutto, il diritto reale d'uso, il diritto reale di abitazione, le servitù, il pegno, l'ipoteca 05|RESPONSABILITÀ MEDICA Sempre più spesso, recentemente, la giurisprudenza riconosce la responsabilità solidale della struttura sanitaria per la responsabilità del medico a titolo di omissione, per i danni provocati dall'inosservanza di doveri professionali 06|DIFFAMAZIONE A MEZZO STAMPA Un tema "caldo" quello del risarcimento in seguito a diffamazione a mezzo stampa o altro veicolo di pubblicità. Ad esempio, la pubblicazione della notizia del rinvio a giudizio di una persona è stata riconosciuta diffamatoria se il reato indicato è più grave di quello effettivamente contestato
IL SOLE 24 ORE
La «proposta» condiziona il futuro
IL RISCHIO - La soluzione indicata dall'«arbitro» ha conseguenze sulle spese nell'eventuale successivo giudizio ordinario
Lun. 8 - Uno dei momenti più controversi della procedura di mediazione è quello della «proposta». Quando le parti non riescono ad appianare la lite davanti al mediatore, possono comunque affidare a lui il compito di formulare una proposta. Un esempio può chiarire il meccanismo: se Tizio vuole 1.000 euro e Caio non è disposto a pagarne più di 500, i due – insieme e di comune intesa – in qualsiasi momento della procedura possono chiedere al mediatore di indicare la cifra che ritiene corretta.
Ma può verificarsi anche un'altra situazione, perché – in base alla legge – il mediatore può formulare una proposta anche quando l'accordo non è raggiunto. Proprio intorno a questa possibilità si gioca uno dei passaggi più delicati della conciliazione, perché le conseguenze processuali saranno rilevanti.
Alcuni organismi di mediazione, però, potrebbero eliminare alla radice la possibilità che i propri mediatori formulino una proposta anche quando non è stata richiesta da tutte le parti. La scorsa settimana, sulla «Gazzetta Ufficiale» è apparso il decreto del ministero della Giustizia che disciplina il funzionamento di questi organismi (e anche degli enti formatori) lasciando a tutti un'ampia autonomia nell'adozione dei propri regolamenti. Non essendo vietato, è possibile che un ente di mediazione possa indicare tra le proprie caratteristiche l'esclusione della formulazione di una proposta non richiesta. Così facendo, alcuni enti potrebbero limitare il proprio raggio d'azione alla sola prima fase della procedura, quella che al più conduce a un accordo amichevole. In questa direzione stanno già muovendosi alcune Camere di commercio. Ciò significherebbe che nelle mani dei mediatori resterebbero solo le sorti di quelle controversie in cui sono le parti stesse a chiedere che l'arbitro indichi la sua "soluzione". Ma la vera questione sottesa alla proposta è quella delle conseguenze processuali. Infatti, finché si resta nella fase dell'accordo amichevole nulla può confluire nell'eventuale giudizio ordinario. Invece, dal momento in cui il mediatore formula la propria proposta, le cose cambiano radicalmente. Perché a quel punto si è attivato una sorta di giudizio ed è richiesto un surplus di lavoro, tanto che anche l'indennità ne risente (è infatti previsto l'aumento di un quinto dell'importo ordinario).
Soprattutto, la proposta entra nel circuito giudiziario ordinario, perché in caso di mancata accettazione – circostanza che può verificarsi sia quando il mediatore l'abbia formulata spontaneamente, sia quando gli sia stato chiesto di adottarla – se ne terrà conto all'esito dell'eventuale giudizio ordinario, quando il giudice dovrà decidere sulle spese.
Infatti, le norme prevedono una sorta di sanzione qualora il procedimento ordinario si concluda con la vittoria della parte che ha rifiutato la proposta e il contenuto della sentenza o di altro provvedimento adottato è identico (se non inferiore) a quello della proposta del mediatore. In questo caso, la parte vincitrice non solo pagherà le proprie spese di giudizio, ma verrà condannata anche a rimborsare quelle della parte avversa.
ITALIA OGGI SETTE
Avvocati e sindacati cauti nel giudizio sull'impatto che le nuove procedure avranno sul contenzioso
Arbitrato, una partita da giocare
L'istituto taglia i tempi, ma resta essenziale la volontà delle parti
Lun. 8 - Avvocati e sindacati cauti sul nuovo arbitrato. Anche se con accenti diversi, il giudizio è di grande prudenza. Tanto tra gli avvocati chiamati a consigliare le aziende, quanto tra i sindacati c'è la convinzione che non sia sufficiente la legge per far decollare le modalità di risoluzione delle controversie alternative al tribunale introdotte con il collegato lavoro. «Non mi sento di consigliare la clausola compromissoria all'azienda nel momento in cui sigla un contratto di lavoro», riflette Luca Capone, giuslavorista dello studio Freshfields, che imposta il ragionamento sull'utilità pratica dello strumento. «Innanzitutto perché, una volta escluso il ricorso all'arbitrato in tema di licenziamento, le ipotesi residuali sono di scarsa rilevanza nell'ambito di vigenza del contratto. È rarissimo che si assista a controversie per mobbing, differenze salariali o demansionamento, se non dopo recesso o licenziamento», aggiunge. «E in questi casi l'utilità dell'arbitrato decade».
Al tempo stesso, secondo Capone, il ricorso all'arbitrato introduce elementi di incertezza che male si legano con le esigenze di chi fa business: «L'azienda ha bisogno di poter stimare i rischi ai quali va incontro, di accantonare riserve proporzionate agli eventi negativi che possono coinvolgerla», spiega. «Così, se nel caso di un giudizio può spulciare gli orientamenti giurisprudenziali di un dato tribunale e persino del singolo giudice, lo stesso non può accadere nel caso dell'arbitrato, che coinvolge giudici non togati». Anche sull'obiettivo di ridurre i tempi della decisione, alla base della riforma, Capone esprime perplessità: «Non è detto che l'azienda abbia interesse a una pronuncia rapida», sostiene, sollevando dubbi anche dal punto di vista del lavoratore: «Essendo venuto meno, con il collegato lavoro, il tentativo obbligatorio di conciliazione, i tempi della giustizia del lavoro si riducono e quindi cala l'interesse a evitare la via giudiziale per la risoluzione delle controversie».
Eufranio Massi, direttore della Dpl (Direzione Provinciale del Lavoro) di Modena condivide l'impianto della riforma «perché consente di ridurre il lavoro dei tribunali e di rendere giustizia in tempi brevi», ma avverte: «È troppo presto per dare giudizi, per fare previsioni che rischiano di rivelarsi incaute. Dovranno passare diversi mesi per capire l'utilità o no di questa riforma: ci sono tanti precedenti nel nostro paese di normative che non hanno avuto l'applicazione pratica attesa».
In particolare, il riferimento è alle modalità di risoluzione delle controversie alternative al giudizio già previste da alcuni contratti di lavoro e all'arbitrato in materia di licenziamento, «i cui casi di applicazione si contano sulle dita delle mani».
Massi ritiene che un punto da risolvere riguarda le parcelle, troppo contenute secondo previsioni
normative per «incontrare l'interesse degli avvocati cassazionisti». Quest'ultimo ostacolo, secondo il segretario confederale della Cisl Giorgio Santini potrà essere superato «facendo ricorso agli strumenti bilaterali, a patto che ci sia una volontà condivisa da tutti gli attori in tal senso».
Secondo il sindacalista, finora la conciliazione non ha funzionato «perché è stata vissuta come un passaggio obbligatorio, burocratico, ma senza un reale obiettivo di dirimere le controversie. Questo perché, prima della nuova normativa, era sempre possibili impugnare le decisioni arbitrali davanti al giudice». Così Santini richiama nuovamente a un impegno comune per «la diffusione dell'istituto». Mena Trizio, segretario generale della Nidil-Cgil, non vede elementi positivi nella legge: «In particolare, la clausola compromissaria è una norma capestro che impone al lavoratore di ricorrere all'arbitro a prescindere dalla tematica e dalla effettiva utilità», sostiene. Un'accettazione che andrebbe a «ledere i diritti della difesa riconosciuti dalla Costituzione, come già rilevato dal presidente Giorgio Napolitano, quando nei mesi scorsi ha rinviato alla Camera la prima versione del testo approvato». Una posizione condivisa da Elena Lattuada, della segreteria della Cgil Lombardia: «La possibilità per l'arbitro di decidere secondo equità, anche derogando a quanto previsto dalla legge, non è accettabile. Il ricorso a questa figura può essere accettabile solo se le sue decisioni possono rientrare nei binari di quanto stabilito dai contratti. Cosa prevista, per esempio, nel settore del commercio, dove ugualmente tuttavia il ricorso all'arbitro è rarissimo». Duilio Lui
ITALIA OGGI SETTE
Le previsioni: meno 35% di cause giudiziarie
lun.8 - Il contenzioso in materia di lavoro potrebbe ridursi della metà, a patto che l'arbitrato per la risoluzione delle liti venga applicato correttamente, e ne siano sfruttate tutte le potenzialità. A prevederlo è Maurizio Castro, capogruppo del Pdl in commissione Lavoro al Senato, stretto collaboratore del ministro del Welfare Maurizio Sacconi, nonché figura fra le più attive nella strutturazione del cosiddetto collegato, approvato definitivamente dal parlamento lo scorso 19 ottobre. La legge assegna un ruolo saliente alla conciliazione: secondo il parlamentare, «se, all'indomani dell'entrata in vigore della norma, si realizzerà l'auspicato passaggio dell'esecuzione di questo istituto in capo alle parti sociali, è legittimo ipotizzare un'erosione del contenzioso del 30-35%. In base, infatti, all'accordo dell'11 marzo 2010, la possibilità di ricorrere a tale opportunità conciliatoria è illimitata. Il lavoratore entrerà in un meccanismo di affidabilità presidiato e protetto dai suoi sindacati. Ciò garantirà un bassissimo costo, garanzie sociali e, nel giro di tre mesi, una sentenza inappellabile. Inoltre, se immaginiamo che, in mancanza di grandi accordi collettivi, bisognerà ricondurre l'arbitrato soltanto alla formula residuale del patto fra datore di lavoro e personale, le cause diminuirebbero del 5%. Una percentuale bassa, però se si creano un clima favorevole e una pedagogia dell'arbitrato, l'intero sistema si fertilizza e questa percentuale può salire al 15%. Sommando, mi spingo a ventilare un vero e proprio dimezzamento del conflitto». Ma quanto bisognerà attendere perché le parti sociali si mettano in moto? «A gennaio si può arrivare all'intesa. L'accordo sull'arbitrato marcia di pari passo con un altro patto, quello sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione d'impresa, del quale il 9 dicembre scadrà la moratoria legislativa di un anno, periodo «concesso» dal parlamento ad associazioni sindacali e datoriali, esclusa la Cgil, per sperimentare il modello. Si tratta di iniziative che appartengono allo stesso mood culturale che possono produrre dei sensibili miglioramenti nelle relazioni industriali e sociali del Paese».
Una via d'uscita dalla «paralisi» in cui versa la stragrande maggioranza delle controversie. È questa, secondo i consulenti del lavoro, l'opportunità offerta dall'entrata in vigore del collegato. Secondo la presidente del Consiglio nazionale dell'ordine, Marina Calderone, per il sistema giuridico è una svolta che la categoria è pronta ad accogliere «facendo la propria parte nel processo deflativo del contenzioso»; un macigno sulla macchina giudiziaria italiana poiché, come aveva ricordato prima del semaforo verde di Montecitorio il presidente della commissione Lavoro, Silvano Moffa (Fli), citando i dati Istat, «le cause pendenti in materia di lavoro sono circa 1 milione e 200 mila». Calderone va al cuore del problema, rimarcando come non si possa «nascondere la situazione esistente presso le attuali sedi di conciliazione, saturate dall'obbligatorietà del tentativo» di dirimere le liti e «dalle inefficienze di vecchia data e che tutti conoscono». E i danni maggiori li subisce proprio il lavoratore, l'anello più debole della catena, al quale tuttavia con l'introduzione della nuova norma vengono garantiti una semplificazione burocratica ed uno strumento, l'arbitrato, che fornirà regole a tutela del prestatore d'opera e dell'impresa; il personale dovrà decidere se avvalersi di questo istituto per la risoluzione delle eventuali dispute non prima della conclusione del periodo di prova, oppure entro 30 giorni dalla stipula del contratto. I consulenti del lavoro, pertanto, «metteranno a disposizione la propria professionalità, insieme alle istituzioni, nel rispetto del loro codice deontologico e, soprattutto», conclude Calderone, «mettendo sul tavolo la terzietà che contraddistingue le attività professionali di una categoria, la nostra, che è in continua evoluzione. I nostri consigli provinciali, preposti alla tutela delle fede pubblica, sono pronti ad affrontare la sfida. E lo faremo con grande senso di responsabilità». Simona D'Alessio