da
http://www.avvocati-part-time.it/index.phpSono convinto che la vigenza della legge che impone la c.d. mediaconciliazione sia una iattura per i cittadini per tante ragioni. E' però, a mio avviso, possibile la disapplicazione di tale legge da parte dei giudici comuni per contrarietà al diritto dell'Unione europea direttamente applicabile; senza che sia, dunque, necessario aspettare una sua declaratoria di incostituzionalità in risposta all'ordinanza del TAR Lazio 3202 depositata il 12 aprile 2011. PERALTRO L'ORDINANZA 3202 / 2011 DEL T.A.R. LAZIO CHE HA RINVIATO LA MEDIACONCILIAZIONE ALLA CONSULTA CI CONSENTE CHIARAMENTE DI IPOTIZZARLO !!!
Ma andiamo per gradi.
Va detto, innanzitutto, che il "criterio di proporzionalità della regolazione", soprattutto in relazione alla concorrenzialità dei servizi professionali legali, impone al giudice (che sia adito senza prima aver tentato la mediaconciliazione) di verificare, onde eventualmente disapplicare la legge sulla mediaconciliazione:
1) se le norme sulla mediaconciliazione siano tutte idonee a garantire il conseguimento dello scopo perseguito della deflazione dei processi e della rapida erogazione di un "servizio giustizia" di livello qualitativo accettabile (la buona amministrazione della giustizia);
2) se alcuna delle norme sulla mediaconciliazione vada oltre quanto necessario per il raggiungimento dello scopo, rivelandosi sproporzionata rispetto ad esso. In particolare verificare se non vada oltre quanto necessario al raggiungimento dello scopo quella norma che, anzichè attribuire agli avvocati (anche ai singoli avvocati) una riserva per la prestazione del servizio legale di mediaconciliazione, la attribuisce ai c.d. organismi di conciliazione privati o pubblici;
3) se ricorrano o meno ragioni imperative di interesse pubblico in grado di giustificare quella restrizione della libera prestazione del servizio professionale di avvocato che si realizza attraverso la creazione di una riserva di mediaconciliazione a favore dei c.d. organismi di conciliazione (nei quali gli avvocati vengono ridotti a lavoratori parasubordinati dell'"organismo");
4) se le norme professionali relative all'esercizio della professione di avvocato e in particolare quelle di organizzazione, di qualificazione, di deontologia, di controllo e di responsabilità non siano già di per se sufficienti per raggiungere -attraverso la attribuzione agli avvocati della competenza esclusiva a svolgere in prima persona la mediaconciliazione (senza bisogno cioè di creare i c.d. organismi di conciliazione)- gli obiettivi che il legislatore ha invece ritenuto di perseguire con la introduzione della mediaconciliazione gestita in esclusiva da parte dei detti "organismi".
Come accennavo, a mio avviso è possibile la disapplicazione della legge sulla mediaconciliazione da parte dei giudici comuni per contrarietà al diritto dell'Unione europea direttamente applicabile.
Ipotizziamo, infatti, che un giudice sia adito senza che prima (in un caso in cui, invece, ormai la legge la preveda quale condizione di prodedibilità) sia stata fatta richiesta ad uno dei c.d. "organismi di mediazione", di organizzare e portare a compimento un tentativo di mediaconciliazione.
Occorrerà spiegare al giudice il perchè egli sia tenuto, stante la primazia del diritto dell'Unione europea, a disapplicare la normativa interna che prevede il tentativo di mediaconciliazione.
Occorrerà spiegargli che il diritto dell'Unione Europea direttamente applicabile osta alla applicazione di una normativa interna che è evidentemente sproporzionata rispetto al fine che persegue e che sacrifica, senza una ragione imperativa (e, anzi, con scelta evidentemente irragionevole e controproducente) la libertà di rivolgersi, al fine della detta mediaconcilazione, agli avvocati singoli e non ad organismi inutili -e anzi spesso potenzialmente pericolosi (almeno ) per i tempi d'erogazione del "servizio giustizia"- quali sono i c.d. organismi di mediazione.
Occorrerà spiegargli che la legge italiana va disapplicata perchè disegna detti organismi, senza alcuna necessità, quali esclusivisti della mediaconciliazione, a danno non solo e non tanto dei c.d. mediatori (ridotti a meri parasubordinati da designare, far lavorare e, in definitiva, sfruttare a tutto vantaggio dell'organismo di mediazione, pubblico o privato) ma soprattutto a danno dei soggetti che sono obbligati a rivolgersi agli organismi stessi i quali, a differenza dei singoli avvocati, non danno le necessarie garanzie di indipendenza dagli interessi in gioco e oggetto della controversia.
Occorrerà ricordargli che la Corte di giustizia (sentenza del 14 settembre 2010 nella causa C-550/07, Akzo Nobel Chemicals Ltd contro Commissione) ha chiarito che “organo dell’amministrazione della giustizia” può esser definito solo un avvocato non legato da un rapporto di impiego col cliente e cioè con chi lo paga.
Occorrerà ricordargli che -come si legge nella sentenza sul caso Akzo- "avvocati indipendenti" significa "avvocati non legati al cliente da un rapporto d'impiego" (definizione che chiarisce finalmente il concetto, troppe volte evocato a sproposito e travisato, di indipendenza dell'avvocato).
Occorrerà ricordargli che, in effetti, non solo colui che è formalmente dipendente ma anche colui che è sostanzialmente parasubordinato (sia perchè viene designato quale mediatore e non viene scelto a caso; sia perchè può essere sostituito ad nutum dall'organismo con un altro mediatore; sia perchè viene pagato dall'organismo) è incapace di affrontare eventuali conflitti di interesse con la stessa efficacia di un legale indipendente.
In definitiva si dovrà chiarire al nostro giudice che -per usare le parole della sentenza Akzo- la legge italiana disegna il mediatore come “strutturalmente, gerarchicamente e funzionalmente dipendente dal suo datore di lavoro”, dall'organismo di mediazione. E questo non va per niente bene. Neppure -si potrà concludere- ha rilievo il fatto che le norme interne applicabili agli iscritti a un ordine di avvocati consentano (o impongano) agli avvocati stessi di non eseguire gli ordini del datore di lavoro: la forza del vincolo della dipendenza economica, come pure ha ritenuto la Corte di giustizia nella sentenza Akzo, rimane decisiva.
Ma cosa dimostra che il mediatore (avvocato o non avvocato) è un lavoratore parasubordinato, se non addirittura subordinato, del c.d. organismo di mediazione?
Segnalo, al riguardo, un intervento fondamentale della Sezione lavoro della Cassazione che, con sent. 10024 del 27/4/2010, ha chiarito che in attività lavorative ad alto contenuto professionale (quale dovrebbe essere certamente quella del mediatore), per distinguere tra rapporto di lavoro autonomo e subordinato, possono esser decisivi, quali indici di subordinazione, l'assenza del rischio economico in capo al lavoratore e l'inserimento del medesimo nella organizzazione produttiva del datore di lavoro.
La Cassazione ha, in particolare, confermato le argomentazioni della Corte di appello di Firenze; argomentazioni importantissime (anche se espresse con riguardo a fattispecie nella quale i professionisti subordinati non erano avvocati ma medici) anche al fine di verificare se gli avvocati-mediatori siano lavoratori parasubordinati o addirittura subordinati dell'organismo di mediazione che li designa.
Parafrasando la sentenza della Cassazione 10024 del 2010 si può affermare che:
1) in linea generale e di diritto -sotto il profilo della valutazione complessiva della prestazione lavorativa cui riconoscere una particolare qualificazione giuridica- l'elaborazione interpretativa della dottrina e soprattutto della giurisprudenza ritiene oramai assolutamente cruciale chiarire che, rispetto ad attività ad alto contenuto professionale e di autonomia tecnico-scientifica, gli elementi necessari per la sussistenza della natura subordinata del rapporto (in sostanza, l'assoggettamento al potere direttivo ed organizzatorio del datore di lavoro) vanno apprezzati con ragionevole misura, non essendo richiedibile in tali ipotesi la ricorrenza dell'esternazione da parte del datore di lavoro di direttive precise e continuate e dell'assoggettamento del lavoratore al controllo diffuso e penetrante della prestazione, in cui i margini di autonomia esecutiva ed organizzativa si allargano vieppiù quando la prestazione abbia ad oggetto competenze tecniche elevate e particolari;
2) è essenziale rilevare se sussiste in fatto l'elemento oramai ritenuto caratteristico e fondante per l'affermazione della natura subordinata di un rapporto di lavoro, ossia l'inserimento pieno ed organico delle prestazioni del professionista al servizio della organizzazione di lavoro, nella "struttura", ad assicurare uno strumento accessorio a tutte le altre attività;
3) è essenziale rilevare se il servizio assicurato dal professionista sia connaturato con la complessiva attività professionale offerta dall'organismo di mediazione e sia funzionale all'adeguatezza dei servizi offerti alla clientela, sicchè non si tratti di una prestazione accessoria sganciata ed ininfluente rispetto all'oggetto peculiare della "produzione aziendale";
4) l'emersione di tali requisiti consente di affermare la sussistenza della subordinazione.
Sintetizza Cass. 10024/2010 che il cennato percorso motivazionale a sostegno della qualificazione del rapporto di lavoro dei professionisti come rapporto di lavoro subordinato "si inquadra nell'orientamento giurisprudenziale che ha individuato quali indici della subordinazione l'assenza del rischio economico in capo al lavoratore e l'inserimento del lavoratore nella organizzazione produttiva del datore di lavoro specie in relazione al coordinamento con l'attività di altri lavoratori (ex plurimis: Cass. n. 1893/2007, Cass. n. 4036/2000): indici questi indicati da questa Corte come sintomatici della natura subordinata di un rapporto di lavoro".
E ancora si consideri: per gli avvocati-mediatori, in quanto essi non sono indipendenti, dovrebbe scattare il cartellino rosso d'espulsione dall'albo (si rammenta, al riguardo, che le sezioni Unite della Cassazione, con sentenza 24/6/2009, n. 14810, hanno riconosciuto che "in tema di incompatibilità di cui all'art. 3 del r.d.l. 1578/33, non rileva la natura, subordinata o autonoma, del rapporto di lavoro, bensì la sua relativa stabilità e cioè la configurabilità di un "impiego"). E QUESTA MI PARE UNA BUONA RAGIONE PER CHIEDERE SUBITO AI GIUDICI LA DISAPPLICAZIONE DELLA MEDIACONCILIAZIONE: PRIMA CHE IL BUSINESS DEI CORSI DA MEDIATORE E DEL "RECLUTAMENTO" DI UN GRAN NUMERO DI AVVOCATI QUALI PARASUBORDINATI DEGLI ORGANISMI DI MEDIAZIONE PORTI I DETTI AVVOCATI AD ESSERE CANCELLATI DAGLI ALBI FORENSI, COME INEVITABILMENTE, ALTRIMENTI, DOVRA' SUCCEDERE.
Quanto alla detta violazione del diritto dell'Unione da parte del legislatore italiano (per aver, senza ragionevolezza, escluso la concorrenza dei singoli avvocati nei confronti dei neocostituiti "organismi di mediazione" nella fornitura del servizio legale di mediazione volta alla conciliazione) il TAR Lazio, nell'ordinanza di rimessione 3202 depositata il 12 aprile 2011, nulla ha detto. Buona ragione per sollevare una nuova questione di legittimità costituzionale (se non si rienga evidentemente violato il diritto comunitario della concorrenza direttamente applicabile) !
SEGNALO PURE UNA PROSPETTIVA RISARCITORIA:
CIASCUN AVVOCATO POTRA' (E A MIO AVVISO DOVREBBE) CHIEDERE IL RISARCIMENTO DEL DANNO DERIVATOGLI DALL'ADOZIONE, DA PARTE DEL LEGISLATORE ITALIANO, DI LEGISLAZIONE INCOMPATIBILE COL DIRITTO COMUNITARIO (SOPRATTUTTO PER INGIUSTIFICATA RIDUZIONE DELLA CONCORRENZA NELLO SVOLGIMENTO DEL SERVIZIO PROFESSIONALE LEGALE DI MEDIACONCILIAZIONE, CONFIGURATO COME OBBLIGATORIO).
Sul punto ricordo che il Consiglio di stato, con sentenza n. 7124/2010, depositata il 24/9/2010:
1) ha riconosciuto la risarcibilità del danno da adozione di legislazione incompatibile col diritto comunitario se si prova la diretta scaturigine del danno dalla norma (e lo si differenzia dal danno originato dal provvedimento che della norma fa applicazione);
2) ha riconosciuto la difficoltà del quantificare il danno e ha ammesso il ricorso, a tal fine, al criterio equitativo;
3) pur non esprimendosi sulla necessità della c.d. "pregiudizialità amministrativa" (ma schierandosi evidentemente per la necessità in astratto della medesima) ha valutato ll comportamento di mancata pregressa impugnazione (del provvedimento attuativo di legge incompatibile col diritto comunitario) come fattore di riduzione del risarcimento.
E SE IL GIUDICE COMUNE NON VORRA' DISAPPLICARE LA LEGGE SULLA MEDIACONCILIAZIONE?
Se il giudice comune non riterrà di disapplicare la legge sulla mediaconciliazione, dovrà, a mio avviso, almeno mandarla innanzi alla Corte costituzionale pure per una ulteriore ragione rispetto a quelle posta a base dell'ordinanza 3202 /2011 del TAR Lazio.Dovrà farlo anche per la violazione dell'art. 117, comma 1, della Costituzione e cioè per violazione, quale parametro interposto, dell'art. 6 della C.E.D.U., come inteso dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo (CONSIDERANDO ANCHE LA SENTENZA 113/2011 DELLA CORTE COSTITUZIONALE DEPOSITATA IL 7/4/2011).
Importante, al riguardo, è la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo che, in materia di fecondazione assistita, ha deciso il ricorso 57813/00. Il rilievo della sentenza della Corte di Strasburgo, infatti, va ben oltre la tematica della fecondazione assistita e riguarda l'affermazione della Corte come giudice della coerenza della legislazione nazionale sui diritti fondamentali riconosciuti dalla C.E.D.U. (al riguardo segnalo, sulla rivista telematica giuridica dell'Associazione dei costituzionalisti n. 1/2011, l'articolo di Stefano Antinori intitolato "La Corte europea, in materia di fecondazione assistita, come garante della razionalità della legislazione, anzichè dei diritti degli individui"). Ragionamento analogo a quello dell'autore, in termini di verifica della coerenza delle normative nazionali, dovrà farsi con riguardo al regime dell'assistenza tecnico giuridica nel processo innanzi al giudice e nella neoistituita fase della previa mediaconciliazione obbligatoria (che allunga i tempi senza necessità, vista la giurisprudenza della Corte di Strasburgo sull'art. 6 della C.E.D.U). Ovviamente si dovrà ammettere che, con riguardo al tentativo obbligatorio di conciliazione in materia del processo del lavoro (ora abrogato) la questione di incostituzionalità in riferimento all’art. 24 Cost., sollevata perchè tale tentativo avrebbe limitato il diritto di azione e ne avrebbe ritardato l’esercizio, facendo sorgere questioni processuali inutili e contrarie alla finalità deflativa perseguita dal legislatore, fu respinta dalla Corte Costituzionale con Sentenza 13.7.2000 n. 276. Si dovrà, certo, ricordare che la Corte spiegò che "in ordine al ritardo, la giurisprudenza consolidata di questa Corte ritiene che l'art. 24 della Costituzione laddove tutela il diritto di azione, non comporta l'assoluta immediatezza del suo esperimento, ben potendo la legge imporre oneri finalizzati a salvaguardare "interessi generali", con le dilazioni conseguenti. E’ appunto questo il caso in esame, in quanto il tentativo obbligatorio di conciliazione tende a soddisfare l'interesse generale sotto un duplice profilo: da un lato, evitando che l'aumento delle controversie attribuite al giudice ordinario in materia di lavoro provochi un sovraccarico dell'apparato giudiziario, con conseguenti difficoltà per il suo funzionamento; dall'altro, favorendo la composizione preventiva della lite, che assicura alle situazioni sostanziali un soddisfacimento più immediato rispetto a quella conseguita attraverso il processo". MA (E IL PUNTO CENTRALE E' QUESTO): NON V'E' OGGI POSSIBILITA' DI RICONOSCERE COERENZA NELLE SCELTE DEL LEGISLATORE ITALIANO IL QUALE, DA UNA PARTE, ABROGA IL TENTATIVO OBBLIGATORIO E GRATUITO DI CONCILIAZIONE IN MATERIA DI LAVORO INNANZI ALLE D.P.L. E, DALL'ALTRA PARTE, ISTITUISCE UN NUOVO TENTATIVO OBBLIGATORIO DI CONCILIAZIONE ONEROSA (LA C.D. MEDIACONCILIAZIONE) PER ALTRE MATERIE E INNANZI A ORGANISMI DI MEDIAZIONE DALLA TERZIETA' NON GARANTITA (SOPRATTUTTO QUELLI PRIVATI, CHE POSSONO ESSERE, TALORA, ADDIRITTURA PERICOLOSI PERCHE' POTENZIALMENTE "SCALABILI", NEL TEMPO, DA UNA AGGRESSIVA CRIMINALITA' ECONOMICA).
E ancora: l'illegittimità costituzionale della mediaconciliazione in relazione all'art. 117, comma 1, Cost., e, quali parametri interposti, in relazione alle norme (non direttamente applicabili -altrimenti porterebbero a disapplicazione-) di cui agli articoli 5 e 85 del T.C.E. (oggi rinumerati dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona) è confermata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia. In particolare è confermata dalla sentenza Wouters, le cui indicazioni non possono non valere anche per le norme di diretta derivazione statale (come conferma il punto 34 della sentenza Arduino, che, definito l'esercizio dell'avvocatura come attività di impresa, recita: "Anche se è vero che, di per se, l'art. 85 del Trattato riguarda esclusivamente la condotta delle imprese e non le disposizioni legislative o regolamentari emanate dagli stati membri, ciò non toglie che tale articolo, in combinato disposto con l'art. 5 del Trattato, obbliga gli stati membri a non adottare o mantenere in vigore provvedimenti, anche di natura legislativa o regolamentare, idonei a eliminare l'effetto utile delle regole di concorrenza applicabili alle imprese"). Può, quindi, dirsi che dalle sentenze Arduino e Wouters della Corte di Giustizia risulta confermato quanto affermato già nella sentenza della Corte Costituzionale n. 189/2001 e cioè che lo Stato non può legittimamente introdurre nel suo ordinamento interno una legge (quale quella sulla mediaconciliazione) che elimina l'effetto utile della previgente regola più ampia sulla concorrenza nei servizi legali, senza che ciò sia ragionevolmente giustificabile in base al livello di garanzia (nel diritto positivo dello Stato membro) del bene che si asserisce giustificatore della limitazione alla concorrenza. A mio parere è evidentemente ingiustificata la riduzione della concorrenza nel mercato dei servizi legali che s'è attuata con la legge che ha istituito la mediaconciliazione "a gestione riservata" ai c.d. organismi di conciliazione e esclusa ai singoli avvocati. OGNI AVVOCATO DOVEVA POTER ESSERE, SEMMAI, UN "ORGANISMO" DI MEDIAZIONE. SAREBBE STATO CERTAMANTE UN "ORGANISMO" DALLA TERZIETA', MORALITA' E CAPACITA' TECNICA MAGGIORMENTE GARANTITI RISPETTO A QUELLE DI TANTI ORGANISMI PRIVATI DI CONCILIAZIONE CHE (FORSE E' SFUGGITO A TROPPI FAUTORI DELLA PRIVATIZZAZIONE DELLA GIUSTIZIA CIVILE) DOVREBBERO OPERARE, NEL NOSTRO POVERO PAESE IN CUI SPESSO LA ATTIVITA' DI IMPRESA E' AMBITA DALLA CRIMINALITA', SOTTO COSTANTE E SERISSIMO CONTROLLO (E SENZA COMPETENZA TERRITORIALE DEGLI ORGANISMI DI MEDIAZIONE IL PASTICCIO E' COMPLETO ...).
DOMANDIAMOCI PURE: SARA' IN GRADO IL MINISTERO DI CONTROLLARE -NON SOLO AL MOMENTO DELLA COSTITUZIONE MA PER TUTTA LA VITA DEGLI INNUMEREVOLI ORGANISMI DI MEDIAZIONE PRIVATI CHE SORGERANNO- LA TERZIETA' E LONTANANZA DEI DETTI ORGANISMI PRIVATI A FINI DI LUCRO DA INTERESSI CRIMINALI ? LA CIRCOLARE DEL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA DEL 4 APRILE 2011 CHE FORNISCE CHIARIMENTI SUL MOMENTO DI CONCLUSIONE DELLA MEDIACONCILIAZIONE E SUI REQUISITI DEI MEDIATORI SEMBRA PRENDERE UN IMPEGNO CONSAPEVOLE DI CONTROLLO SULL'EVOLUZIONE DEGLI ORGANISMI PRIVATI DI CONCILIAZIONE. MA E' UN IMPEGNO CHE SENZA SOLDI DA SPENDERE PER TANTO SERI CONTROLLI RISCHIA DI NON POTER ESSERE RISPETTATO.