Messaggioda GiovaniAvvocati » lun mar 15, 2010 5:24 pm
DIRITTO E GIUSTIZIA
Parla l'anima rosa del Cnf: «Le donne avvocato? Solo facendo rete si riesce ad arrivare lontano»
Sab. 13 -Meno pagate, meno riconosciute nella professione, le donne si trovano ancora oggi a dover combattere per trovare spazi adeguati di espressione, rappresentanza e, perché no, potere. Da qualche tempo ormai il tasso di disoccupazione maschile è più elevato di quello femminile. Secondo gli ultimi dati Eurostat, infatti, nell'Unione europea sono senza un'occupazione il 9,7 per cento degli uomini contro il 9,3 per cento delle donne. In Italia, però, la disoccupazione fra le donne (9,8 per cento) continua a essere più alta di quella fra gli uomini (7,7 per cento). Il divario poi tra i due tassi era storicamente così alto che il sorpasso non è ancora avvenuto. Risultati che trovano conferma anche nel mondo della professione forense. Le iscritte alla facoltà di giurisprudenza e le laureate battono per numero i loro colleghi maschi. Ma una volta intrapresa la carriera di avvocato, sembra invece che siano gli uomini a farsi strada prima e con maggiore facilità. Secondo il 67 per cento delle professioniste nell'Avvocatura non esistono le pari opportunità. I dati emergono dalla ricerca del Censis dedicata alle donne avvocato (v. articolo nell'arretrato dell'11 marzo 2010). All'avvocato Ilaria Li Vigni, membro della Commissione Pari opportunità del Consiglio nazionale forense abbiamo posto alcune domande. E le risposte sono molto trasparenti. Niente aria fritta, niente giri capziosi, una sana consapevolezza: l'unica via d'uscita è promuovere il talento delle donne e favorirne l'ascesa alle posizioni di vertice.
Avvocatesse: brave per passione, coraggiose perché ammettono che la famiglia e i figli sono di ostacolo alla carriera, consapevoli delle discriminazioni sul lavoro, convinte che se una donna lo vuole davvero, possa raggiungere il successo nel lavoro. Perché è così difficile per una professionista affermarsi? Perché la società è improntata all'autoreferenzialità e non alla meritocrazia: questo è il motivo per cui siamo “quotiste” pentite, cioè siamo convinte come Commissione Pari opportunità del Cnf che la quota sia la conditio sine qua non, pro tempore, per fare in modo che venga chiaramente cercato e avallato un merito che altrimenti non verrebbe riconosciuto.
La via d'uscita potrebbe essere l'adozione di quote (al 30 per cento) riservate alle candidature femminili nelle elezioni degli Ordini locali, degli organismi di pari opportunità e del Consiglio nazionale forense. Ma il presidente del Cnf Guido Piero Alpa, pur non essendo contrario, si chiede se non sia un segno di debolezza che possa rallentare questo cammino di parificazione. Lei cosa ne pensa? La penso diversamente dal professor Alpa e devo dire che è un argomento di continuo confronto, perché proprio il Cnf non ha una donna tra i suoi ventisei delegati, evidentemente non è una questione di bandismo o di riserva naturale: direi che i generi devono essere equamente rappresentati.
In che modo? Nel foro di Macerata, ad esempio, hanno previsto che le liste per l'elezione del Consiglio dell'Ordine, composte da otto o più candidati, debbono garantire la rappresentanza di genere: ogni sesso non potrà essere rappresentato in misura superiore ai due terzi dei candidati. Siccome ormai c'è quasi il sorpasso numerico da parte delle donne sul territorio nazionale, per una applicazione di democrazia paritaria si faccia in modo che i generi siano equamente rappresentati. Non ne farei una questione di cinquanta e cinquanta, trenta o settanta, piuttosto siccome ci siamo tanto quanto loro dobbiamo essere equamente rappresentate, e ciò si può si può ottenere solo attraverso questo meccanismo ineludibile.
Tina Lagostena Bassi rivendicò con forza alle donne quella miriade di diritti negati, sottaciuti, sbeffeggiati da una visione del mondo retrograda. Malgrado i tentativi di abbattere gli stereotipi, dalla ricerca del Censis emerge che le avvocatesse vengono ancora considerate idonee a occuparsi di “persone” più che di affari e dunque prevalentemente adatte al contenzioso di massa: controversie familiari, condominiali, contrattuali o infortunistiche. Cosa si può fare per cambiare lo stato delle cose? La donna per sua fisiologia è molto più attenta ad ascoltare, a mediare e quindi cause come quelle nella giustizia minorile, nel diritto di famiglia sono chiaramente l'applicazione di questa predisposizione naturale. L'uomo, invece, ha una clientela pressoché mirata al societario quindi alla persona giuridica che è assolutamente più solvibile del privato. Credo che sia molto importante fare dei corsi di formazione sull'autostima e sulla gestione del potere e della leadership. Si deve fare network, bisogna fare lobby, le donne devono assolutamente trovare dei canali di collaborazione, di solidarietà femminile e devono entrare un po' a gestire il potere così come hanno fatto gli uomini. Per arrivare nei consigli d'amministrazione - lei capisce - se c'è una donna a capo, una Marcegaglia magari, è più facile che la Marcegaglia chiami la Li Vigni, piuttosto che la chiami un uomo.
Nel progetto «Dopo le buone teorie, le proposte programma di ricerca - intervento per le donne avvocato» si sostiene la necessità di prevedere interventi di tipo fiscale per sostenere le professioniste. Insomma, servono politiche fiscali eque. Dunque, siamo in continuo contatto con la Cassa di previdenza forense affinché si prevedano degli sgravi fiscali per le donne avvocato perché comunque il vulnus del reddito di un'avvocatessa non è la maternità: ci sono tantissime donne single senza figli che hanno un calo nei guadagni. Le entrate di un avvocato donna risultano inferiori alla metà dell'omologo maschio: parecchio, quindi, specialmente in un momento di crisi congiunturale come questo.
Scriveva Susan Sontag in Interpretazioni tendenziose (Einaudi 1975) che «… non basta mutare le leggi discriminatorie nei confronti della donna, devono essere mutate le forme di lavoro, le abitudini sessuali, l'idea della vita familiare, la lingua stessa». È d'accordo? Sono d'accordo, va veicolata la cultura della parità. Noi avvocate abbiamo presentato una mozione con il Cnf al Congresso di Bologna nella quale diciamo che la cultura della parità deve essere una materia obbligatoria, deontologica insegnata già nelle scuole dell'obbligo perché solo così si possono tirare su bene i ragazzi. La cultura deve passare a livello generazionale.
Che farete allora? La ricerca realizzata dal Censis è stata sofferta, veloce e ha fotografato la realtà italiana, ha mappato un po' l'Avvocatura femminile nel Paese. Si tratterà di lavorare a livello territoriale come la Commissione Pari opportunità sta già facendo con incontri itineranti per mettere a punto anche delle proposte di legge in modo che il legislatore recepisca questa tipologia di intervento che noi vorremmo fare. In breve, sensibilizzare il territorio e più che altro coinvolgere la base dell'Avvocatura che è ancora un po' distante dal vertice.
Chiudete gli occhi e immaginate come sarebbe tra qualche anno l'Italia se la legge sulle quote rosa diventasse realtà: perché in fondo è solo una questione di libertà e di democrazia. Chi vivrà vedrà.
Cristina Cappuccini